Siria, i caccia minacciano il dialogo

Siria, i caccia minacciano il dialogo

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MOSCA. L’Isis che avanza in Siria, con le ondate di profughi che invadono l’Europa, è ormai un pericolo per tutti e Stati Uniti e Russia non possono più permettersi i toni da Guerra Fredda usati fin qui. In una giornata a suo modo storica nei rapporti tra le due potenze, Mosca e Washington hanno deciso di fare in qualche modo fronte comune contro gli uomini del califfato che entrambe ormai combattono a viso aperto ma senza coordinamento tattico e con mediocri risultati.
Non è proprio un’alleanza ma c’è già una prima serie di mosse importanti: una telefonata tra il segretario alla Difesa Usa Ashton Carter e il suo omologo russo Sergey Shojgu ha sancito la ripresa da subito della la collaborazione strategica e militare interrotta dopo le vicende ucraine; un inviato del Cremlino ha fatto una lunga visita all’odiatissimo ambasciatore americano John Tefft, accusato fino a ieri di varie nefandezze anti-russe; si preparano nuovi incontri ad alto livello e forse addirittura un vertice tra Obam e Putin che potrebbe avvenire intorno al 28 settembre, quando il presidente russo sarà ospite dell’Assemblea generale dell’Onu a New York. «Spero che i due si vedano al più presto», confermava il Segretario di Stato John Kerry.
Letteralmente assediato dai ribelli a Damasco, il presidente siriano Bashar al Assad sogna una coalizione che possa tirarlo fuori dai guai e fa dire alla sua portavoce e consigliera più fidata: «Unitevi contro il terrorismo». Ma non sarà così facile.
Le sorti del presidente sono infatti il vero grande nodo da sciogliere per arrivare a una vera cooperazione fra russi e occidentali. Gli Stati Uniti che chiedevano la destituzione di Assad, protetto invece da Mosca, aprono a qualche vaga possibilità di accordo. «Stiamo cercando piste per un terreno comune», ha detto Kerry in uno slancio di ottimismo. Mosca però sull’argomento tace e fa capire di non voler cedere. Assad è un amico, l’unico che garantisce con il porto di Tartus una base alla Marina russa nel Mediterraneo, e anche l’unico che viene considerato in grado di fermare l’ondata integralista che potrebbe minacciare il Caucaso. La trattativa alla ricerca di un compromesso, magari con una conferma a tempo di Assad, e’ appena cominciata. Ma i russi hanno fretta e il Pentagono è ancora sospettoso. Ieri sera denunciava l’avvistamento di caccia di Mosca sui cieli siriani, temendo un accelerazione delle manovre russe. Intanto al Cremlino ci si gode quella che viene considerata una grande vittoria politica. «Obama è stato finalmente costretto », dicono, «ad avvicinarsi alle nostre posizioni». E si ironizza sul settembre di due anni fa quando Putin fermò la decisione americana di bombardare la Siria per aiutare i ribelli adesso diventati un pericolo comune.
E il “nemico comune” che si è materializzato in Siria potrà forse contribuire ad allentare altre tensioni. In Ucraina dell’Est, dove si temeva per settembre un’avanzata dell’esercito regolare contro i ribelli filorussi la tregua continua a reggere. La spiegazione, mai ufficiale ma diffusa come vera da media e dichiarazioni anonime di qualche politico è carica di speranza: «Obama ha fermato le pruderie ucraine. Non vuole altre occasioni di rottura. Ha capito che c’è bisogno anche di noi».


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