Renzi a Cer­nob­bio con lo scalpo dell’articolo 18

Renzi a Cer­nob­bio con lo scalpo dell’articolo 18

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Al work­shop Ambro­setti di Cer­nob­bio ieri Renzi è arri­vato in eli­cot­tero con lo scalpo dell’articolo 18 e ha riscosso il plauso di Gian Maria Gros Pie­tro (Intesa San Paolo) e Fede­rico Ghiz­zoni (Uni­cre­dit) per l’«intervento ener­gico» «che ha «con­qui­stato la pla­tea». Dopo una gran­di­nata durata mezz’ora, la ren­trée set­tem­brina è girata al bello. Davanti ad una pla­tea con­ge­niale alla sua epica cicli­stica («l’Italia è come il cicli­sta caduto, rien­trato nel gruppo di testa, alla ricerca della maglia rosa»), Renzi ha fatto l’occhiolino alla classe che ha sot­to­scritto il 22 ago­sto una pub­bli­cità a paga­mento sul Cor­riere della Sera. Leg­gerlo oggi, con­fron­tan­dolo con il rosa­rio di cose fatte e riven­di­ca­zioni snoc­cio­lato ieri a Cer­nob­bio con­ferma la coe­renza dello «story-telling» di Palazzo Chigi. Le veline sono le stesse.

Par­tiamo dai dati fatali sull’occupazione e il Pil. Da quando l’Istat ha rivi­sto al rialzo il Pil annuo (+0,6%) e atte­stato la cre­scita degli occu­pati (+0,8%), Renzi sprizza di gioia. «Siamo al Governo da 18 mesi , i numeri di oggi ci dicono che abbiamo avuto un aumento dei posti di lavoro 236mila unità – ha detto — L’italia ha perso 927mila posti di lavoro durante la crisi: un recu­pero del 25% che non è suf­fi­ciente ma è un dato di fatto che i numeri dicano que­sto e che la zona dove si recu­pe­rano posti di lavoro è il mez­zo­giorno». È come para­go­nare le mele con le pere. Il dato sui posti per­duti dall’inizio della crisi è diverso da quello attuale. In più i nuovi posti di lavoro sono trai­nati dagli ultra­cin­quan­tenni (+5,8%), trat­te­nuti al lavoro dall’inasprimento dei requi­siti impo­sti dalla riforma For­nero a dispetto dei più gio­vani dall’età com­presa tra i 15 e i 34 anni (-2,2%) e 35–49 anni (-1,1%). A que­sta si aggiunge la disu­gua­glianza ter­ri­to­riale: seb­bene a livello nazio­nale il tasso di disoc­cu­pa­zione sia sceso al 12,1% (a giu­gno era al 12,5, ai minimi dal 2013), men­tre quello di occu­pa­zione è salito al 56,3% (+0,1% sul mese e +0,7% sull’anno), a Sud la disoc­cu­pa­zione resta sta­bile al 20,2% men­tre al Nord del 7,9%. Dai dati Istat evo­cati a Cer­nob­bio risulta che la cre­scita non pro­duce occu­pa­zione sta­bile [jobless reco­very], la disoc­cu­pa­zione gene­rale resta sta­bile e riguarda 3 milioni e 100 mila individui.

Sullo sban­die­rato aumento di 44 mila occu­pati in un mese e 235 mila in un anno (per ora) hanno influito soprat­tutto i con­tratti a ter­mine (+3,3%), il part-time invo­lon­ta­rio (sette casi su dieci) e solo in minima parte i dipen­denti a tempo inde­ter­mi­nato (+0,7%) soste­nuti dagli ingenti eso­neri con­tri­bu­tivi pre­vi­sti a cor­redo del Jobs Act. Un dato assai mode­sto, e in fles­sione da giu­gno, che con­ferma un aspetto cul­tu­rale deci­sivo del governo Renzi, inte­res­sato al lavoro dipen­dente – e non alle par­tite Iva — e a pre­miare l’impresa con sus­sidi a piog­gia. Quella che lo ha applau­dito ieri a Cer­nob­bio quando ha ascol­tato dal pre­mier «l’articolo 18 non c’è più, l’Italia ha cam­biato pagina».

Pec­cato non avere detto che, da almeno cin­que anni, il boom del lavoro a ter­mine ha negato alla mag­gio­ranza dei nuovi assunti que­sto bene­fi­cio. In com­penso, uno dei decreti attuati del Jobs Act impone a que­sti assunti con­trolli a distanza, da oggi potranno essere spiati attra­verso pc, tablet, tele­foni, videocamere.

Dopo qual­che bat­tuta, applau­dita, con­tro la mino­ranza Pd, lo show ha pun­tato sull’abolizione di Imu e Tasi nel 2016, taglio dell’Ires nel 2017 e poi l’irpef nel 2018. è la ricetta forte per l’autunno e Renzi ha pun­tato tutte le sue fiches. Dopo la Corte dei Conti, la Cgil, ieri il think tank pro­diano Nomi­sma – cal­coli alla mano – ha boc­ciato lo sfa­vil­lante pro­getto: la can­cel­la­zione della tassa sulla prima casa «non per­se­gue obiet­tivi di redi­stri­bu­zione del carico fiscale nel senso di una mag­giore equità». Il taglio dell’Imu darebbe uno sti­molo mode­sto al mer­cato (infe­riore all’1%), le fami­glie pro­prie­ta­rie avreb­bero uno sgra­vio di 17 euro e a bene­fi­ciarne sareb­bero quelle «con dispo­ni­bi­lità red­di­tuali ele­vate». «Appare alquanto fati­coso indi­vi­duare la linea di poli­tica eco­no­mica che si intende per­se­guire». Che gufi, quelli di Nomisma.



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