MOSCA . Per intervenire nella guerra civile in Siria, e contrastare la minaccia dell’Is, bisogna per forza passare da Mosca. Lo si capiva ieri mattina, sulla soglia della dacia presidenziale di Novo Ogaryovo, nel sorriso compiaciuto di Vladimir Putin mentre accoglieva Benjamin Netanyahu, premier israeliano arrivato nella capitale russa per una visita lampo preparata in gran fretta. E proprio mentre i primi droni dell’aviazione di Mosca cominciavano i loro voli di perlustrazione su Damasco, Latakia, Tartus, Putin ha cercato di tranquillizzare l’ospite coinvolgendo Israele in una consultazione tattico strategica che dovrebbe impedire «malaugurati incidenti» tra le rispettive truppe ormai distanti tra loro solo poche decine di chilometri. Una collaborazione vera e propria, l’abbozzo di una coalizione anti-Is della quale Mosca si sente ormai protagonista. Del resto, al di là dei continui allarmi del Pentagono sulla presenza russa in Siria, anche gli Stati Uniti considerano inevitabile il ruolo di Mosca. Lo ha confermato lo stesso Netanyahu: «Tutti i particolari di questa missione russa sono stati riferiti a Washington, nostro fondamentale alleato». E segretamente si tratta sull’unico nodo da sciogliere: la permanenza al potere del presidente Assad.
Le preoccupazioni di Israele sono invece di natura militare e politica. Oltre all’aspetto della vicinanza tra gli eserciti c’è anche il timore che le armi russe possano finire in qualche modo tra le mani di Hezbollah, impegnata da quelle parti contro il nemico comune dell’Is. C’è poi la questione delle alture del Golan da dove le truppe di Assad hanno fatto partire di tanto in tanto colpi di artiglieria in direzione di Israele. Con un pizzico di cinismo, Putin ha però spazzato via ogni paura: «Nella situazione in cui si trova Assad non ha proprio alcuna voglia di aprirsi un secondo fronte ».
Ma anche il lato politico della visita di Netanyhau ha una sua rilevanza. Se proprio si deve accettare la presenza russa al confine tanto vale non lasciare che gli interlocutori di Mosca siano solo i paesi islamici moderati. Nei mesi scorsi Putin ha ricevuto alti rappresentanti di Egitto, Arabia Saudita e Giordania, convincendoli nel perorare la causa di una coalizione contro lo spettro del Califfato. Il nuovo ruolo e la riconquistata autorevolezza della Russia in Medio Oriente sarà plasticamente visibile domani nel cuore di Mosca, all’inaugurazione di quella che viene presentata come «la moschea più grande del mondo». Ci saranno esponenti del mondo arabo e anche del regime di Teheran. Particolare attenzione sarò poi rivolta alla presenza di altri amici di Mosca come il leader turco Erdogan e quello dell’Autorità palestinese, Abu Mazen. Tutti coinvolti nella preoccupazione generale per l’avanzata dell’Is.
Forte di questi successi diplomatici il Cremlino non smentisce più le voci pubblicate dai giornali. Il Kommersant conferma la presenza di 1700 uomini nel porto di Tartus, Rossiskaya Gazeta parla di almento tremila soldati, nove tank e decine di blindati a Latakia. Altri uomini sono concentrati a Hana dove gestiscono un campo profughi. E nemmeno le denunce del Pentagono che parla di caccia russi già in azione sulla Siria, vengono considerate degne di nota. L’aviazione siriana possiede da anni aerei russi e altri ne riceverà presto (dodici Mig 21 entro due anni). Ufficialmente sono guidati da piloti siriani addestrati a Mosca. Pochi ci credono ma è difficile da dimostrare.