by redazione | 11 Settembre 2015 9:11
Gli ultimi dati dl Ministero del Lavoro, pubblicati ieri, sui contratti del secondo trimestre 2015 certificano che la precarietà gode di ottima salute e che a via Veneto si fa di tutto per destare confusione nella lettura dei dati.
Nella nota trimestrale il ministero pubblica in tabelle differenti sia i dati totali per il trimestre sia i dati consolidati dei tre mesi che formano quel trimestre.
Facendo un controllo sul totale di queste tabelle — che dovrebbero corrispondere — si nota che, per i contratti a tempo indeterminato, il dato totale risulta inferiore a quello ricavato dalla somma mensile di 6646 contratti al netto delle cessazioni. Una discrepanza che non può essere dovuta alle procedure di revisione in quanto i dati mensili «consolidano quelli pubblicati con le Note Flash mensili del Ministero del Lavoro», quindi tutto fa pensare che questi dati siano gli ultimi disponibili, quelli a 50 giorni. Un’analisi attenta suggerisce che la discrepanza è dovuta all’inclusione nel dato trimestrale dei contratti relativi alla pubblica amministrazione.
Non c’è un errore, anzi è un dato che ci offre l’opportunità di capire che nella pubblica amministrazione i contratti a tempo indeterminato stanno diminuendo, dinamica già in essere negli ultimi trimestri. Diminuiscono notevolmente anche i contratti a termine (-168774), mentre non si trovano impiegati per revisionare i bilanci dei partiti che quindi (si auto)votano una sanatoria rispetto al finanziamento pubblico.
Rimane la poca chiarezza di queste pubblicazioni che si affannano a dare i numeri senza preoccuparsi di spiegare nell’incipit a quale parte del mercato, a quali settori, si riferiscono. Inoltre, nella nota non viene mai menzionata la pubblica amministrazione, così come nelle tabelle allegate, neppure nel dettaglio per settori, rendendo più complicata la comprensione nonché il calcolo dei contratti del settore pubblico.
Tornando ai dati trimestrali complessivi si nota che a fronte di 31.836 contratti «stabili» ve ne sono 252.791 a termine, un dato che per un trimestre che abbraccia parte della stagione estiva non sorprende. Tuttavia dal punto di vista qualitativo, emerge che rispetto a un anno fa i contratti a tempo determinato durano sempre meno. Il 17% dei contratti non supera i due giorni lavorativi, mentre nel 39% dei casi essi non vanno oltre il mese di attività; nel frattempo diminuiscono quei contratti tra due e dodici mesi, di fatto quelli più interessanti da trasformare a tempo indeterminato in base al connubio tra sgravi e tutele crescenti. Un saldo positivo anche per i contratti di apprendistato, mentre c’è una evidente riduzione nel tempo delle collaborazioni. Infine, nel secondo trimestre 2014, al netto della Pubblica amministrazione e del lavoro domestico, sono stati trasformati 100.813 contratti da tempo determinato a tempo indeterminato. Quindi a conti fatti i nuovi contratti a tempo indeterminato rappresentano a stento il 10% dei nuovi contratti stabilmente precari, visto che il 90% è dovuto alle trasformazioni.
Sempre ieri, l’Inps pubblicava i dati dell’osservatorio sul precariato, dati che seppure amministrativi differiscono da quelli del Ministero per costruzione e informazioni contenute. Ed è proprio sui dati dell’Istituto di previdenza che il responsabile economia del Pd, Filippo Taddei, ha inciampato nella fretta di dare al mondo un segnale di forte ottimismo, che purtroppo era errato e che non ha mai corretto.
L’interesse per i dati Inps riguarda soprattutto i voucher e il numero di imprese che hanno ricevuto uno sgravio contributivo. In base ai dati Inps, che differiscono da quelli del Ministero, nel trimestre 385.467 assunzioni totali (incluse le trasformazioni) hanno usufruito dello sgravio contributivo. Un numero spaventosamente superiore a quello relativo agli occupati a tempo indeterminato in più nel trimestre (61 mila), come certificato dall’Istat. Considerando il sacrificio in termini di fondi pubblici e di inferiori tutele per i lavoratori, il connubio tra JobsAct e Incentivi appare sempre più un regalo alle imprese quando non un vero e proprio spreco di denaro pubblico.
Infine, tra gennaio e fine luglio di quest’anno, sono stati venduti 61.933.279 voucher, circa ventisei milioni in più rispetto allo stesso periodo del 2014 (+73%). Un dato che non pare interessare né al governo né ai media e che invece rappresenta il vero exploit dell’anno in corso e porta con sé una carica informativa non indifferente nella valutazione dell’andamento del mercato del lavoro.
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