L’importanza dell’acqua per la sopravvivenza della specie umana balza in primo piano in questi giorni, con notizie che arrivano dai due poli estremi della ricchezza e della povertà.
La prima viene dalla California, il più opulento Stato Usa: con 2.200 miliardi di dollari di Pil, se fosse indipendente sarebbe da sola la settima potenza industriale del pianeta. A giugno i 39 milioni di californiani hanno tagliato del 27% i propri consumi d’acqua, a luglio hanno fatto ancora meglio: meno 31%. È il risultato di uno sforzo dettato dall’emergenza. Siamo al quarto anno della “siccità secolare”, 12 milioni di alberi sono già morti per la mancanza d’acqua. L’intera West Coast è assediata dalla penuria idrica. Dici California, pensi alla Silicon Valley: ma perfino questo laboratorio d’innovazione è costretto a riconoscere che la tecnologia non ha risposta a tutti i problemi.
Quella scorciatoia tecnologica che sarebbe la desalinizzazione non è perseguibile su vasta scala per via dei danni ambientali. «Gli impianti di desalinizzazione — mi ha detto lo scienziato Michael Loik della University of California- Santa Cruz — consumano molta energia fossile, inquinano, e restituiscono al mare acqua più salata e riscaldata». La soluzione più efficace nell’immediato, è un riesame radicale dell’American Way of Life. Vaste zone della California erano la versione estrema di quel modello di benessere: le villette col prato all’inglese, le piscine.
Da mesi i californiani si sottopongono all’apprendistato del consumo frugale, hanno imparato le tecniche della “doccia ultra-rapida”. I risultati sono importanti, 500 milioni di metri cubi di acqua risparmiata. È l’equivalente della costruzione di due nuove dighe da 3,5 miliardi di dollari. In quanto alla tecnologia, il suo contributo ci sarà, ma in altre forme, presto potrebbero esserci nuove regole sugli elettrodomestici, l’obbligo di produrre lavatrici e lavastoviglie dai consumi d’acqua ultra- ridotti. La California impara dall’India… dove la “Jugaad Innovation” è un filone di invenzioni orientate al risparmio delle risorse scarse.
All’estremo opposto, nelle zone più povere del pianeta la mancanza d’acqua uccide 1.400 bambini ogni giorno. È la denuncia che verrà portata qui a New York il 25 settembre all’assemblea generale Onu da WaterAid, una ong dedicata all’emergenza-acqua nei paesi sottosviluppati. Fra due settimane al summit delle Nazioni Unite verrà anche papa Francesco, per rilanciare i temi affrontati nell’enciclica Laudato Si ’. In quell’occasione WaterAid vuole attirare l’attenzione del mondo intero sul problema dell’acqua. La sua scarsità o la sua contaminazione, sono le due facce della stessa medaglia. «650 milioni di persone — spiega l’appello di WaterAid — cioè quasi un abitante della terra su dieci, non hanno a disposizione acqua potabile, o abbastanza pulita da non uccidere».
La mancanza d’acqua si ripercuote nell’assenza di fognature, di impianti sanitari, di toilette. Le conseguenze sono drammatiche per 2,4 miliardi di persone sprovviste di accessi a toilette igieniche. Nel caso dell’India questo problema acutizza perfino la piaga degli stupri. WaterAid cita casi nell’Uttar Pradesh, dove «le violenze sessuali più frequenti accadono contro le ragazze costrette ad allontanarsi da casa e isolarsi per i propri bisogni».
Nel mondo intero l’acqua è anche la causa principale della mortalità infantile: «Più di mezzo milione di neonati ogni anno muoiono per infezioni come la setticemia, perché le madri e le ostetriche non possono neppure lavarsi le mani con acqua pulita ». Di qui allo scenario politico- strategico, il passaggio è prevedibile. Già da molti anni nelle università americane i dipartimenti di Scienze ambientali ricevono finanziamenti dal Pentagono, per le ricerche sulle “ guerre dell’acqua”.
Il ministero della Difesa americano è convinto che la crisi idrica sarà un detonatore dei conflitti. Lo studioso di strategia Strobe Driver, in un saggio sulla rivista Global Policy , sostiene che in realtà sia già accaduto più volte. Secondo Driver, «nella Guerra dei Sei Giorni, anno 1967, conquistando le alture del Golan Israele si garantì un terzo delle proprie forniture d’acqua; così come l’acqua fu la causa vera dietro la guerra indo-pachistana del 1965 per il controllo del Kashmir». Ai nostri giorni, non si spiegherebbe «il disperato accanimento con cui le forze regolari irachene, i curdi, l’aviazione americana da una parte, e lo Stato Islamico dall’altra, si contendono la diga di Mosul; la strategia bellica è orientata al controllo dell’approvvigionamento d’acqua, proprio come avveniva nella seconda guerra mondiale per il petrolio di Baku».
Che non basti la ricchezza economica per risolvere l’emergenza acqua, oltre alla California lo dimostra un’altra superpotenza capitalistica: la Cina. La desertificazione avanza implacabile invadendo ampie aree della Repubblica Popolare. Pechino è soggetta sempre più spesso a terribilitempeste di sabbia che ne accentuano l’inquinamento. In una nazione dove non mancano né le risorse economiche né l’attitudine a pianificare, si cercano risposte in un’antichissima tradizione: i canali. Un progetto titanico di nuove canalizzazioni per trasferire interi corsi d’acqua, è in corso d’attuazione.
È la versione moderna di quella “civiltà idraulica” che fu il vanto degli imperatori della Terra di Mezzo, un sistema ammirato da storici occidentali come Karl Wittfogel e Fernand Braudel. Ma oggi non basta più deviare e dirottare fiumi esistenti, alcuni dei quali (Fiume Giallo) per lunghi periodi dell’anno sono ridotti a rigagnoli semi-inariditi. Di qui l’accanimento con cui Pechino mantiene la sua morsa sul Tibet. Nell’area himalayana oppure dai vicini altipiani tibetani nascono tutti i maggiori fiumi che irrigano l’Asia: Yangze e Fiume Giallo per la Cina, Indus, Gange e Brahmaputra per l’India, Mekong e Irrawady per la penisola indocinese. Controllare gli altipiani tibetani è come avere il possesso dei “rubinetti” dell’Asia.
Con tutte le possibili ricadute: il governo dei corsi dei fiumi, ed anche dell’energia idroelettrica. Di qui gli scenari più apocalittici che studia il Pentagono, la prossima guerra mondiale potrebbe scoppiare per l’acqua, in quella parte del pianeta dove (se a Cindia si aggiungono Pakistan e Bangladesh) vivono tre miliardi di persone.