Laurent Fabius: “La risposta alla crisi dei migranti non è la chiusura delle frontiere Bisogna porre fine al conflitto in Siria”

Laurent Fabius: “La risposta alla crisi dei migranti non è la chiusura delle frontiere Bisogna porre fine al conflitto in Siria”

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.Il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius invoca solidarietà: “È un principio fondante dell’Ue non à la carte”. Su Damasco: “Possibile un governo di transizione ma senza Assad. I nostri voli contro l’Is sono legittima difesa”
PARIGI. “CHIUDERE le frontiere non risolverà la crisi dei rifugiati». Nel suo ufficio al Quai d’Orsay, Laurent Fabius parla con cinque testate europee, tra cui Repubblica , dei grandi temi internazionali. «La solidarietà — dice a proposito dell’accoglienza dei migranti tra i paesi Ue — non è un principio variabile, à la carte ». Sulla Siria il ministro degli Esteri conferma discussioni in corso con Mosca. «Un governo di transizione è possibile con elementi del regime ma senza Bashar al Assad», spiega Fabius, molto impegnato anche nei negoziati per la Cop21, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima di cui è il Presidente. Dal 30 novembre si riuniranno a Parigi 196 paesi. Un summit “vitale”, dice il ministro, per il futuro del nostro Pianeta.
L’Europa è divisa sull’accoglienza ai rifugiati. Un accordo è ancora possibile?
«L’Europa ha conosciuto altre crisi. Ma ora, in un certo senso, è in causa la sua ragione d’essere. È illusorio credere che ne possiamo uscire ristabilendo le frontiere nazionali. Ma bisogna avere l’onestà di dire che al di là della solidarietà necessaria nei confronti dei rifugiati, non possiamo spalancare le porte ai migranti economici, sennò avremmo il caos, un’estremizzazione dei fenomeni, e delle conseguenze pesanti per l’Europa».
Come far fronte al flusso dei rifugiati?
«Bisogna organizzare i centri di accoglienza e identificazione, hotspost, nei paesi d’ingresso come l’Italia, organizzare un sistema di ripartizione equo e aiutare i paesi fuori dall’Unione che sono in prima linea, penso a Turchia, Giordania, Libano. Dobbiamo anche avere una politica di sviluppo per l’Africa. Non è attraverso gli egoismi nazionali che usciremo da questa crisi».
Ormai c’è un abisso tra la posizione sui rifugiati della Germania e quella dell’Ungheria. Qual è il collante dell’Europa?
«Ci sono dei principi di base che ognuno deve rispettare. L’Europa si è allargata in particolare sulla solidarietà interna: non è un principio à la carte».
La libera circolazione nello spazio Schengen è minacciata. Ogni paese, a turno, chiude le frontiere.
«Schengen prevede che, in alcuni casi eccezionali, si possa ristabilire le frontiere per un tempo limitato. Ma bisogna risolvere le cause profonde del disfunzionamento ».
La Francia potrebbe tornare a presidiare i suoi confini?
«Sempre nei termini previsti da Schengen. È quello che è già accaduto al confine con l’Italia ».
Cosa pensa dello slancio di generosità della Germania?
«All’inizio è stato uno slancio positivo e generoso di solidarietà rispetto a situazioni umane intollerabili. Ma bisogna poter reggere sul lungo termine».
Angela Merkel ha sbagliato?
«Il suo gesto forte può essere stato percepito in maniera ancora più forte. La Francia, con la Germania, cerca le soluzioni adatte. Ognuno deve fare la sua parte, senza perdere il controllo della situazione».
Lanciare raid in Siria contro l’Is non è un modo indiretto di aiutare Assad?
«Abbiamo avuto prove di attentati contro la Francia preparati da elementi dell’Is in Siria. Di fronte a questa minaccia abbiamo deciso di fare voli di ricognizione per colpire, se necessario. Si tratta di legittima difesa ».
Ci potrebbe essere un intervento a terra?
«Nessun paese è disposto a farlo. La lezione dei conflitti armati recenti è che non si vincono questo tipo di guerre con truppe a terra straniere. L’aviazione esterna può e deve aiutare, ma bisogna che siano le popolazioni locali o regionali a intervenire ».
Vladimir Putin chiede una coalizione internazionale contro l’Is. Cosa risponde la Francia?
«Mosca vuole una coalizione dei volonterosi. Perché no? Ma tra i volenterosi come si può includere Assad? Ricordatevi l’inizio del caos siriano: una manifestazione di giovani repressa in modo tale che il dramma si è propagato con violenze inaudite, l’utilizzo di armi chimiche, l’internazionalizzazione del conflitto. E oggi abbiamo 240mila morti, milioni di rifugiati, un paese martoriato. Non voglio sminuire la responsabilità mostruosa dell’Is. Ma come proponevamo già a Ginevra 1 (la prima conferenza sulla Siria, nel giugno 2012, ndr. ), la soluzione è un governo di unione nazionale ».
Un governo con membri del regime di Assad?
«Per evitare il crollo di un sistema, com’è accaduto in Iraq, bisogna conservare i pilastri dell’esercito e dello Stato. I negoziati devono puntare su due aspetti: servono elementi del regime e membri dell’opposizione che rifiutano il terrorismo».
La conferenza mondiale sul Clima è davvero l’ultima chance per salvare la Terra?
«È un negoziato vitale. Se non agiamo subito ci saranno conseguenze devastanti. Non centinaia di migliaia, ma milioni di persone saranno costrette a fuggire a causa di siccità, carestie, inondazioni, guerre. Superata una certa soglia del riscaldamento climatico, stimata ai 2 gradi per questo secolo, il fenomeno diventerà irreversibile ».
Cos’è cambiato rispetto alla conferenza di Copenhagen del 2009, che fu un fallimento?
«Ormai c’è una presa di coscienza. L’anno 2014 è stato il più caldo da sempre. E il 2015 potrebbe essere ancora peggio. Oggi esistono tutte le soluzioni finanziarie, tecnologiche per intervenire. Secondo l’economista Nicholas Stern, se non fermeremo il riscaldamento climatico ci sarà un impatto tra il 5 e il 20% del Pil mondiale nel 2050».
L’impegno preso dalla Cina è importante?
«Sì, la Cina è leader di quello che chiamiamo gruppo dei 77. Il suo impegno ha un considerevole effetto di trascinamento su altri paesi. Negli Stati Uniti, anche Barack Obama si è impegnato molto. Stati Uniti e la Cina sono i più grandi paesi produttori di gas a effetto serra. Quindi si tratta di un’evoluzione notevole ».
I paesi del Sud frenano. È ottimista sulla possibilità di un accordo?
«Il mio è un ottimismo prudente. Dobbiamo arrivare a un accordo per limitare a 1,5 o 2 gradi al massimo l’innalzamento delle temperature entro il 2100. È la base giuridica dei negoziati, che determina il successo o il fallimento del vertice. In passato non ci siamo riusciti. Il famoso protocollo di Kyoto riguardava solo una minoranza di paesi. La conferenza di Parigi può segnare una svolta per il nostro Pianeta, anche se non possiamo pensare di risolvere tutti i problemi in un solo vertice. È un punto d’arrivo ma anche di partenza».


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