Vista dagli Stati Uniti l’Italia fa notizia quando vi approdano ondate di disperati, costretti ad attraversare il Mediterraneo. La Germania è un colosso economico dai piedi d’argilla, non riesce a dare all’Europa un progetto nuovo, forte e convincente. Un altro paese era il simbolo del miglior modello europeo: il politologo americano Francis Fukuyama ha coniato l’espressione “diventare Danimarca”, per illustrare la transizione a una liberaldemocrazia esemplare; ebbene, anche la Danimarca non è più sicura di voler essere Danimarca, a giudicare dall’ascesa di partiti xenofobi, dal diffondersi di nuove paure in un paradiso scandinavo che si sente sotto assedio. La Nato si riarma per far fronte a Putin, ma le opinioni pubbliche europee distolgono gli sguardi dal rullare dei tamburi di guerra. Gli europei hanno altro a cui pensare: i figli senza lavoro o sottopagati; i tagli alle pensioni; i servizi pubblici in declino. Non sta molto meglio la mia America. Per essere la nazione più dinamica sotto molti aspetti — economia, demografia, energia, scienza, tecnologia — soffre di un’insicurezza sorprendente: dopo sei anni di crescita dell’occupazione, una maggioranza di americani continua pensare che “il paese è sulla strada sbagliata”. Anche qui molti giovani, pur avendo sbocchi professionali migliori che in Europa, non possono aspirare al tenore di vita dei propri genitori. La prossima rivoluzione tecnologica — il balzo in avanti nella robotica e nell’intelligenza artificiale — minaccia di rendere inutili o subalterne molte professioni intellettuali. La più grave crisi economica dopo la Depressione degli anni Trenta lascia delle ferite aperte. Questa crisi è stata “sprecata”, non ha portato a cambiamenti risolutivi; si parla apertamente di una stagnazione secolare. Pesa anche la perdita di una missione. L’America, anche quella parte che rimane convinta della propria “eccezionalità”, non crede più che sia possibile una Pax Americana nel mondo. Siamo le prime generazioni testimoni di un evento inaudito, la chiusura di una fase storica durata mezzo millennio, quel dominio dell’uomo bianco sul pianeta che si aprì con l’epoca delle grandi scoperte, a cui seguirono le conquiste coloniali. Il pendolo della storia torna inesorabilmente dove lo avevamo lasciato cinque secoli fa, almeno dal punto di vista delle gerarchie e dei rapporti di forze: quando era Cindia il baricentro del mondo, l’area più ricca e avanzata, oltre che la più popolosa. Ma il pendolo è lento. Siamo nella transizione, in uno di quei periodi instabili e pericolosi: dove l’ordine antico sta franando, di un ordine nuovo non c’è neppure una traccia. Il declino relativo dell’America, non è compensato dal sorgere di un avvenire radioso sotto altri egemoni. Chi di noi brama di vivere sotto una Pax Cinese o Russa? Modelli alternativi non ce n’è in circolazione; prevalgono coalizioni occasionali fra risentimentianti-occidentali. Cinesi o russi, arabi o africani, possono elencare facilmente i lunghi torti storici che hanno subito dall’Occidente. Non hanno elaborato la visione di un altro mondo da costruire.
L’Età del Caos esplora le linee di frattura che attraversano il mondo in cui viviamo, ne traccia le frontiere più aggiornate, le forze che lo stanno plasmando. Dalla geopolitica all’economia, dall’ambiente alla crisi delle democrazie, dalla rivoluzione tecnologica al futuro di Cina e India.Conoscere il Caos, è la condizione essenziale per padroneggiarlo… o almeno galleggiare, sopravvivere, adattarsi?
C’è una seduzione del Caos. La sua attrazione fatale, malefica e demoniaca, l’avvertiamo in un sottile slittamento del linguaggio. Prendete la parola virus.
Virale è diventato un segno di successo. Se un video su YouTube attira un pubblico immenso definiamo virale la sua diffusione. Se una start-up lancia una app per cellulari che conquista gli utenti, tipo Uber o Instagram o Whatsapp, è promossa a fenomeno virale. C’è chi estende il vocabolario medico-biologico alla geopolitica e alla religione. L’avanzata dello Stato Islamico per la sua rapidità viene descritta come un “contagio”. Autorevoli esperti fanno parallelismi con le epidemie. Ancora i virus.
Il Caos come principio dinamico. Da una parte ci sono delle classi dirigenti, l’establishment, i governanti, la cui formazione è radicata nel passato, incapaci di capire il futuro. Questi tendono a pensare in modo “lineare”; come se fosse possibile ripristinare qualche tipo di status quo, di stabilità. Dall’altra parte ci sono le nuove élite, i veri protagonisti del futuro: guerriglieri o imprenditori delle start-up, vedono nell’instabilità la nuova norma, pensano al Caos come a un’opportunità. La “distruzione creatrice” della Silicon Valley californiana è alimentata da tattiche di guerriglia: gli innovatori sono minuscoli, quando partono all’assalto dei poteri costituiti. In quel mondo dell’imprenditorialità più dinamica, a San Francisco, il vocabolo in voga è “disruptive”. Per essere un protagonista devi essere dirompente, devastante, distruttivo.
Il Caos può diventare per noi un’opportunità? Che cosa possiamo imparare dalla mappatura del Disordine dominante? Crisi e opportunità sono una parola sola, in mandarino. Il filosofo greco Socrate, nel ritratto che ci tramanda Aristofane con la commedia
Le Nuvole , considerava il Caos come una divinità.
Più vicina a noi, è la matematica post-newtoniana ad avere fatto della Teoria del Caos uno dei suoi sviluppi più importanti. La direzione imboccata dagli scienziati è assai diversa dall’accezione negativa e catastrofista del disordine, dell’anarchia e dell’assenza di regole “lineari”. Chiedo aiuto al matematico Leonard Smith, docente alla London School of Economics. «Uno dei miti del caos che va denunciato — dice — è che esso renda inutile il tentativo di fare previsioni. Il caos riflette dei fenomeni nella matematica e nelle scienze: dei sistemi dove delle piccole differenze nel modo in cui sono le cose oggi, possono avere conseguenze enormi su come le cose saranno in futuro». Lo studio del caos si è allargato all’astronomia, alla meteorologia, alla biologia, e ovviamente all’economia. La differenza rispetto alla matematica e alla fisica di Newton? «In base alle leggi di Newton, il futuro del sistema solare è completamente determinato dal suo stato attuale… Un mondo è deterministico se la sua situazione attuale definisce compiutamente ciò che sarà il suo futuro».
Non c’è da stupirsi, se i più giovani, i più trasgressivi, i più creativi tra di noi sentono nel Caos una promessa di illimitate possibilità. Un mondo non-determinato, un mondo dove minuscoli cambiamenti oggi possono produrre grandi conseguenze domani: perché mai dovremmo vederne solo il negativo?