Il desiderio di muri di Orbán non finisce mai
Nella notte tra mercoledì e giovedì al valico di frontiera di Horgos gli agenti hanno sparato ancora gas lacrimogeni per disperdere un gruppo di giovani migranti che continuava a protestare davanti alla barriera. Per evitare i pesanti scontri verificatisi ore prima la polizia serba si è schierata davanti alla struttura che è stata rafforzata con nuovo filo spinato.
Il confine ungaro-serbo è ormai sigillato e controllato da un ampio dispiegamento di forze e diversi gruppi di migranti cercano una via alternativa per evitare la barriera ungherese. Si dirigono verso la Croazia che ha fatto sapere — in serata — di essere «satura». Fedele al principio della difesa efficace delle frontiere, Budapest ha deciso di estendere la recinzione protettiva alla Romania. In un’intervista uscita ieri su Le Figaro, il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha dichiarato che il paese erigerà un’altra barriera al confine con la Croazia. Per il premier si tratta di seguire la pista dei migranti e comportarsi di conseguenza tenendo conto del fatto che non sono i migranti ma i trafficanti di esseri umani a stabilire i percorsi.
Il discorso delle autorità ungheresi è che non si può lasciare andare in giro per l’Europa un flusso incontrollato di migranti non tutti individuabili come persone in fuga dalla guerra e da persecuzioni in atto in stati totalitari repressivi. «Una volta che arrivano nel nostro paese devono farsi registrare — aveva detto settimane fa il ministro degli Esteri Péter Szijjártó — e aspettare di ottenere lo status di rifugiati». Status che non spetta a tutti, non ai migranti per ragioni puramente economiche che, secondo quanto sottolineato dal capo della diplomazia di Budapest, vanno rimandati indietro. A parere di Orbán i pachistani non lasciano il loro paese per disperazione ma per trovare un tenore di vita migliore.
Nella giornata di ieri diversi organi di stampa hanno riportato la frase con la quale il premier ha precisato che se il sistema delle quote verrà votato dalla maggioranza diventerà una legge che andrà rispettata. Questa considerazione, però, non è necessariamente un’apertura all’orientamento dell’Unione europea in fatto di politiche sull’immigrazione. Nell’intervista uscita ieri sul quotidiano francese, infatti, Orbán afferma che parlare oggi di quote significa incoraggiare l’immigrazione. Le preoccupazioni del primo ministro ungherese si riferiscono chiaramente alla difficoltà di gestire flussi di tali proporzioni e alle sorti di un’Europa che rischia di essere invasa da decine e decine di milioni di migranti provenienti da culture lontane. Il premier sottolinea il fatto che l’integrazione dei musulmani in Europa è un processo incompiuto che vede in diversi paesi del continente l’esistenza di società parallele e che l’Ungheria non intende seguire questo tipo di percorso. Se le quote diventano legge vanno rispettate e l’Ungheria dovrà accettarle, ha detto quindi Orbán citato dal giornale ungherese di politica ed economia Világgazdaság, il giudizio su questo sistema però non cambia: per l’esecutivo è un incentivo all’immigrazione e all’attività dei trafficanti di esseri umani, un approccio che si potrebbe prendere in considerazione solo se i paesi europei fossero realmente in grado di difendere in modo efficace i loro confini, cosa che, secondo le autorità di Budapest, non è risultata vera.
Per Orbán l’unico paese ad avere preso veramente sul serio le regole di Schengen è proprio l’Ungheria che, criticata ingiustamente a livello internazionale, non ha fatto altro che applicare normative ben precise per garantire la sicurezza nazionale ed europea. Le nuove regole entrate in vigore nel paese martedì scorso considerano il superamento illegale della frontiera un crimine da punire con l’espulsione o il carcere. Fino ad oggi, secondo le autorità ungheresi, solo una ventina di persone è stata oggetto di procedimenti giudiziari per il reato in questione. Per il governo è una questione di difesa dei confini nazionali.
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