Il caos della «Buona scuola » è iniziato
Sette milioni 861 mila studenti sono tornati a sedersi tra i banchi della scuola statale. Un milione di alunni dell’infanzia, 2 milioni e mezzo quelli della primaria, 1 milione 649 mila delle medie e 2 milioni e 628 mila, senza contare i 960 mila delle paritarie, hanno involontariamente tenuto a battesimo la riforma Renzi-Giannini della scuola. La riforma del «preside manager», della mobilità coatta dei docenti dal sud verso il Nord, del sistematico uso della propaganda che ha spacciato per «assunzioni» quelle che in realtà sono «stabilizzazioni» di docenti che hanno il diritto a lavorare nella scuola.
È la riforma che ha provato a spacciare la fine della «supplentite», cioè del precariato, occultando la situazione di almeno 70 mila docenti abilitati che avrebbero il diritto di essere assunti secondo la storica sentenza della corte di Strasburgo, quella che ha condannato l’Italia perché ha sfruttato i precari che hanno lavorato per più di 36 mesi negli ultimi cinque anni. Solo una parte dei «precari storici» sono stati assunti: 102.734 mila contro i 148 mila annunciati nel settembre 2014 da Renzi e Giannini: 46 mila in meno. Posti letteralmente spariti. A questi 102 mila e rotti, bisogna sottrarre 36.627 posti della cosiddetta «fase 0» che coprono il turn over dei pensionamenti già previsto dal governo Letta, utili a smaltire i vincitori dei concorsi del 1990 e del 1999. Ci sono poi le 10.849 cattedre assegnate su posti disponibili della «fase A» e avanzanti da quella precedente. Normale amministrazione di inizio anno scolastico, nulla a che vedere con le assunzioni strombazzate.
Poi è arrivata la «fase B», quella che ha costretto in agosto oltre 7 mila docenti a emigrare dal Sud al Nord, pena la perdita del lavoro. Sono arrivate 71 mila domande, di queste 3 mila non erano valide perché presentate da docenti in ruolo; 15 mila sono state presentate dai docenti della scuola dell’infanzia che tuttavia non sono previsti per quest’anno nella «Buona scuola» e sono stati esclusi. Sono valide 53 mila domande, inferiori di molto ai posti a disposizione. Questo ha imposto il ricorso alle supplenze annuali, proprio quelle che Renzi diceva di avere cancellato. Senza dimenticare quelle di istituto dei prossimi giorni.
La ministra dell’Istruzione Giannini ha definito «limitata e fisiologica» la mobilità a cui il governo ha costretto i docenti che aspettavano invece il ruolo nella provincia della loro graduatoria, come previsto dalla legge. A parte il fatto che almeno un quarto dei neo-assunti, una percentuale di tutto rispetto, il rodeo di cifre che ha privilegiato i peggiori luoghi comuni padronali e razzisti contro gli insegnanti del Sud (40/50enni trattati come «Choosy», «culi di pietra», «meridionali chiagni e fotti») si ridurrà a un normale avvicendamento: i posti assegnati dalle fasi zero-A-B corrispondono sostanzialmente ai pensionamenti previsti.
Nella «fase C» che dovrà chiudersi entro novembre saranno «assunti» altri 55 mila docenti. Da anni impegnati nel lavoro a scuola, una parte non irrilevante sarà costretta all’emigrazione. Ma il problema che sta prendendo forma in queste settimane è anche un altro: è stato calcolato che circa 10 mila professori di materie specifiche (diritto, musica, storia dell’arte ecc) saranno utilizzati immediatamente negli «organici di potenziamento» dai quali i «presidi manager» pescheranno i profili più convenienti al loro «piano di offerta formativa» triennale. Gli altri saranno assunti e fungeranno da «tappabuchi», colmando le esigenze delle scuole inserite negli «ambiti territoriali» di giorno in giorno. Una specie di «just-in-time» o «lavoro a chiamata» sperimentata nella scuola ridotta a fabbrica territoriale della formazione con una manodopera sempre a disposizione.
Il governo ha ritenuto di affidarsi a un algoritmo orwelliano che dovrebbe accoppiare i candidati ai posti, privilegiando le città scelte dai candidati e poi la graduatoria nazionale. Gli esperti e i sindacati sostengono che questo sia un «mostro» giuridico, già sperimentato nella scuola e dichiarato incostituzionale che ha sommerso il Miur di ricorsi onerosi costringendolo ad assumere retroattivamente i docenti. Nel caso della «Buona scuola» il volume dei ricorsi rischia di essere oceanico. Ciò che sembra mancare è una cultura dei diritti del lavoro. È sintomatico nel paese del Jobs Act.
Questo è il bilancio momentaneo del governo Renzi dopo la sentenza europea che ha condannato lo sfruttamento del «precariato di Stato» nella scuola: 75 mila docenti in cattedra — cifra comprensiva del turn-over — contro una stima di 150 mila precari inseriti nelle graduatorie in esaurimento. Quest’anno 30 mila cattedre non saranno assegnate e, sostiene il sottosegretario all’istruzione Faraone, saranno inserite nel concorsone che dovrebbe essere bandito entro dicembre e riservato ai docenti abilitati (tema ancora in discussione). Da qui nasce la cifra di 160 mila docenti assunti dal governo Renzi, un numero che lascia fuori altre decine di migliaia di precari. Per loro il futuro è incerto.
Questa è la scuola del caos sotto i numeri della propaganda permanente con la quale il governo cerca di stendere l’opinione pubblica.
Tra le proteste dell’Unione degli Studenti e della Rete degli studenti medi, ieri è iniziato l’anno che trasformerà la scuola nel luogo dove i docenti si «valuteranno» per darsi poche decine di euro lordi in più, costretti a rientrare nel «cerchio magico» del preside. è la scuola che insegna a competere, a valutare e punire, quella che spinge a desiderare il potere che domina e sfrutta. Michel Foucault scrisse un mirabile saggio intitolato: «Introduzione a una vita non fascista». Una lettura suggestiva per la scuola che verrà.
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