I “numerini” su occu­pa­zione e Pil

I “numerini” su occu­pa­zione e Pil

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Erano attesi i dati dell’Istat sull’occupazione, soprat­tutto dopo la figura non lun­gi­mi­rante del mini­stero del Lavoro e l’infaticabile opera del governo, lo sto­ry­tel­ling del pre­mier Mat­teo Renzi, che deni­gra la sta­ti­stica uffi­ciale rele­gando il tutto a un «sono sol­tanto numerini».

Nel tri­me­stre del 2015, il tasso di occu­pa­zione aumenta dello 0,6% su base annua, atte­stan­dosi al 56,3%, accom­pa­gnato dall’aumento del numero degli occu­pati (+180 mila unità), che ha ini­zio quindi ben prima delle riforme del governo Renzi. Entrambe le com­po­nenti di genere sono inte­res­sate da que­sto aumento, men­tre lo stesso non si può dire per i gruppi ana­gra­fici: come per il primo tri­me­stre, i nuovi occu­pati sono solo over 50. Un fatto da rispe­dire ai mit­tenti della pro­pa­ganda del Jobs Act: i gio­vani con­ti­nuano a essere esclusi dal mer­cato del lavoro e, ça va sans dire, da qual­siasi forma di soste­gno al red­dito (se non quello fami­liare, lì dove esi­ste). Con­tri­bui­scono molto i lavo­ra­tori del Sud con 109 mila occu­pati in più rispetto allo stesso periodo del 2014. Non stu­pi­sce, con­si­de­rando l’aumento del turi­smo pro­prio nelle regioni del Mez­zo­giorno. Tut­ta­via, al Sud il tasso di occu­pa­zione è del 42,6% con­tro il 64,8% al Nord e il 61,3% al Cen­tro, situa­zione che peg­giora nel con­fronto di genere.

Il con­fronto ter­ri­to­riale si fa più aspro per l’occupazione gio­va­nile (15–24 anni): se è vero che a livello nazio­nale il tasso di occu­pa­zione si atte­sta al 15,1%, al Sud esso si ferma al 10,3%, con­tro il 19,3% del Nord. In ter­mini asso­luti, il numero di occu­pati tra i 15 e i 24 anni dimi­nui­sce in un anno di 40 mila unità, di 70 mila tra i 25–34 anni e dul­cis in fundo la ridu­zione tocca le 120 mila unità per le per­sone tra i 35 e 44 anni. Quindi, una ridu­zione totale per i gio­vani di 230 mila occu­pati tra i 14 e i 44 anni. Effetto della riforma For­nero più che del Jobs Act.

marta fana dati istat

Quel che però ci si chiede non è solo quanti siano o meno gli occu­pati in più, ma che tipo di con­tratto hanno, qual è il regime ora­rio. In que­sto modo è infatti pos­si­bile unire i dati sui con­tratti pub­bli­cati dal mini­stero del Lavoro con quelli dell’Istat. Ebbene, il numero di dipen­denti a tempo inde­ter­mi­nato aumenta dello 0,7%, men­tre quello a ter­mine subi­sce un incre­mento del 3,3%. Come già risulta dal flusso di con­tratti, atti­vati e ces­sati nel periodo, avanza il lavoro a ter­mine più di quello pre­ca­ria­mente stabile.

Le varia­zioni in ter­mini di ora­rio con­fer­mano che il regime pre­di­letto è quello part time, che aumenta sia per i con­tratti per­ma­nenti che per quelli a ter­mine, rispet­ti­va­mente dell’1,3% e del 6,2%. Più lavo­ra­tori a ter­mine e part time rispetto agli “inde­ter­mi­nati” a tempo pieno (il cui aumento si ferma allo 0,6%), que­sto il dato che emerge.

Intanto il numero di disoc­cu­pati aumenta di circa 10 mila usando il dato desta­gio­na­liz­zato, con un tasso sul tri­me­stre che aumenta di 0,1 punti per­cen­tuali sul totale della popo­la­zione (12,4%), men­tre quello gio­va­nile è al 42,2%, dato che l’Istat sug­ge­ri­sce di uti­liz­zare in quanto depu­rato degli effetti dovuti alla sta­gio­na­lità tra tri­me­stri. A conti fatti, il tasso di disoc­cu­pa­zione sta ancora aumen­tando tra trimestri.

Infine, per com­ple­tare il qua­dro del mer­cato del lavoro, è bene sof­fer­marsi anche sul tasso di inat­ti­vità, ovvero la quota di indi­vi­dui che escono dal mer­cato del lavoro, i cui dati non sono per nulla ras­si­cu­ranti. Il calo degli inat­tivi riguarda tutte le com­po­nenti ana­gra­fi­che (-271 mila) ma soprat­tutto i 35-54enni (-1,5%, –1 mila) e i 55-64enni (-5,0%, –194 mila), quindi ancora una volta nel mer­cato del lavoro, quello attivo, sono gli over 50 a fare la dif­fe­renza, rap­pre­sen­tando il 72% del calo degli inattivi.

Dal punto di vista qua­li­ta­tivo, con­ti­nua l’Istat, «la ridu­zione del numero di inat­tivi tra 15–64 anni è dovuta quasi del tutto alla com­po­nente più distante dal mer­cato del lavoro vale a dire coloro che non cer­cano lavoro e non sono dispo­ni­bili a lavo­rare (-3,5%, 371 mila in meno)». Spicca infatti il dato dei pen­sio­nati che, come sot­to­li­neato nei mesi pre­ce­denti, rico­min­ciano a cer­care lavoro, facendo crol­lare il numero di inat­tivi del 7,2% rispetto al secondo tri­me­stre del 2014.

Per il mese di luglio invece «la stima degli occu­pati cre­sce ancora dello 0,2% (+44 mila)» men­tre dimi­nui­sce quella rela­tiva ai disoc­cu­pati: i dati, sep­pure prov­vi­sori, sono già desta­gio­na­liz­zati. Tut­ta­via a dif­fe­renza dei mesi pre­ce­denti la varia­zione del numero di occu­pati è posi­tiva per gli uomini e non per le donne.

Il tasso di disoc­cu­pa­zione si riduce di 0,5 punti per­cen­tuali rispetto a giu­gno e di 0,9 rispetto a luglio 2014. Anche per i gio­vani il mese di luglio appare più favo­re­vole rispetto a tutto il primo seme­stre, ma rispetto a un anno fa dimi­nui­sce sia il tasso di disoc­cu­pa­zione che quello di occu­pa­zione, men­tre aumen­tano gli inattivi.

Intanto, il Pil aumenta dello 0,3% rispetto al primo tri­me­stre del 2014 e dello 0,7% rispetto al secondo tri­me­stre del 2014 (stime rivi­ste in rialzo dall’Istat), dato che fa allon­ta­nare dalla mente del mini­stro dell’economia Pier Carlo Padoan, lo spau­rac­chio di rive­dere al ribasso le stime per l’intero anno. Alla varia­zione del Pil con­tri­bui­scono posi­ti­va­mente la domanda per beni finali e le impor­ta­zioni, ma con­ti­nua il con­tri­buto nullo dei con­sumi Pa e soprat­tutto degli inve­sti­menti, senza i quali non ci sarà una ripresa strutturale.



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