Guerre, muri, quote, i tre veleni dell’Europa

by redazione | 25 Settembre 2015 9:43

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I governi dell’Unione euro­pea non ave­vano pre­vi­sto le con­se­guenze del caos e delle guerre che hanno gene­rato l’attuale flusso di pro­fu­ghi. Hanno pre­valso, ieri e oggi, cini­smo e irre­spon­sa­bi­lità. E gli ultimi ver­tici dell’Unione hanno preso o stanno per pren­dere tre deci­sioni mise­ra­bili: fare la guerra agli sca­fi­sti, pre­lu­dio all’estensione del fronte di guerra a tutta la Libia e oltre; ren­dere le fron­tiere esterne dell’Unione imper­mea­bili ai pro­fu­ghi (lo esige il pre­mier unghe­rese Orban); imporre quote obbli­ga­to­rie di pro­fu­ghi a tutti gli Stati mem­bri, come se ci fosse da spar­tirsi un carico di emis­sioni o di mate­riali inqui­nanti, e non per­sone al cul­mine delle loro sof­fe­renze. Ma l’accoglienza è un’altra cosa, richiede rispetto, dignità, diritti, e poi anche casa, lavoro, istru­zione e tutele, cose per cui la Com­mis­sione non pre­vede né stan­dard comuni né stan­zia­menti. La guerra agli sca­fi­sti libici è un alibi, un’infamia e un crimine.

E’ un alibi: si vuol far cre­dere che le maniere forti pos­sano sosti­tuire l’accoglienza che non c’è. E per ridi­men­sio­nare i flussi — e risol­vere la que­stione – si conta di acco­gliere i rifu­giati (quelli che pro­ven­gono da paesi “insi­curi”, in guerra) e di respin­gere i migranti (quelli che pro­ven­gono da paesi defi­niti “sicuri”). Anche Prodi ha ricor­dato che nes­suno Stato dell’Africa — e meno che mai Iraq, Afgha­ni­stan o Kur­di­stan – è sicuro; e anche il mini­stero degli esteri avverte i turi­sti che tutti i paesi da cui pro­ven­gono i migranti non sono sicuri. Se in tanti rischiano morte e vio­lenza per fug­gire dal loro paese è per­ché là non pos­sono più vivere.

E’ un’infamia, per­ché nasconde il fatto che se venis­sero appron­tati cor­ri­doi uma­ni­tari per per­met­tere a chi fugge di rag­giun­gere in sicu­rezza l’Europa, gli sca­fi­sti di mare e di terra non esi­ste­reb­bero e si sareb­bero evi­tate decine di migliaia di morti. E’ un cri­mine, per­ché fer­mare gli sca­fi­sti in Libia (nes­suno, però, ha pro­po­sto di bom­bar­dare quelli della Tur­chia, altret­tanto spie­tati), posto che sia fat­ti­bile, signi­fica ricac­ciare i pro­fu­ghi nel deserto, con­dan­nan­doli ai tanti modi di morire a cui si erano appena sottratti.

D’altronde gli hotspot pre­tesi da Jun­ker e Angela Mer­kel in cam­bio delle quote di rifu­giati da smi­stare in Europa sono la men­zo­gna con cui si intende dimez­zare il numero da acco­gliere, sba­raz­zan­dosi di coloro a cui non verrà rico­no­sciuto lo sta­tus di rifu­giati. Ma come si fa a rim­pa­triarne così tanti? E in paesi con cui non esi­stono accordi di rim­pa­trio e dove spesso non ci sono nem­meno auto­rità a cui ricon­se­gnarli? Appena sbar­cati, se non saranno impri­gio­nati o sop­pressi, ripren­de­ranno la strada per l’Europa a costo della vita: non hanno altra scelta.

Evi­dente è la gara tra gli Stati dell’Unione per sca­ri­carsi a vicenda l’onere di un’accoglienza che nes­suno vuole accol­larsi. Ma la vera con­tro­par­tita delle quote è che chi non rien­tra in esse dovrà restare dov’è: se non potrà, e non potrà, essere rim­pa­triato, dovrà far­sene carico il paese di arrivo: Ita­lia o Gre­cia; paesi che, anche se voles­sero, non potreb­bero cir­con­dare di filo spi­nato le pro­prie coste come l’Ungheria fa con i suoi con­fini. La Spa­gna l’ha già fatto a Ceuta e Melilla; la Gre­cia dell’ex mini­stro Avra­mo­pou­los, ai con­fini con la Tur­chia; Fran­cia e Regno Unito a Calais; la Bul­ga­ria ha schie­rato l’esercito; Ger­ma­nia, Austria, Slo­ve­nia, Croa­zia, Repub­blica Ceca e Fran­cia cer­cano di chiu­dere le fron­tiere… Così, anche se Angela Mer­kel lascia cre­dere di avere forze e mezzi per affron­tare la situa­zione, la solu­zione con cui ripro­pone la sua lea­der­ship sull’Unione ne asse­gna i van­taggi alla Ger­ma­nia e ne sca­rica i costi sui paesi più deboli ed espo­sti. Pro­prio come con l’euro.

San­zioni inci­sive, fino all’espulsione, con­tro gli Stati che rifiu­tano le quote — peral­tro già ora insuf­fi­cienti — sareb­bero altret­tanto rischiose per la coe­sione che accet­tare che cia­scuno vada per conto suo. Così, se il feroce brac­cio di ferro con la Gre­cia ha inferto un duro colpo all’immagine di un’Unione por­ta­trice di van­taggi e benes­sere per tutti i suoi mem­bri, la vicenda dei pro­fu­ghi sta dando il colpo di gra­zia all’unità di una aggre­ga­zione di Stati tenuti insieme solo dai debiti e dal potere della finanza.

Tra­sfor­mare l’Europa in for­tezza signi­fica aval­lare e pro­muo­vere lo ster­mi­nio per mare e soprat­tutto per terra di chi cer­cherà ancora di fug­gire dal suo paese; mol­ti­pli­care ai con­fini del con­ti­nente caos e guerre che tra­ci­me­ranno in Europa: con altri pro­fu­ghi, ma anche con ter­ro­ri­smo e aspri con­flitti sociali; e con­se­gnare al raz­zi­smo il governo degli Stati dell’Unione sem­pre più divisi. Chiun­que sia a gestirli: destre, cen­tri o “sinistre”.

Ma si può acco­gliere cen­ti­naia di migliaia, e domani milioni di pro­fu­ghi senza un pro­gramma di inse­ri­mento sociale: casa, lavoro, red­dito, istru­zione e diritti per tutti? Si può “tenerli lì” per anni a far niente, in siste­ma­zioni di for­tuna (che in Ita­lia stanno arric­chendo migliaia di pro­fit­ta­tori) o in car­ceri come i Cie? Ne va innan­zi­tutto della loro dignità di esseri umani. Ma è anche intol­le­ra­bile per tanti cit­ta­dini euro­pei che abi­tano e lavo­rano accanto a loro, o che sono già ora senza lavoro, o senza casa, o senza red­dito, abban­do­nati dallo Stato. E’ il modo migliore per ali­men­tare tra loro ran­core, rigetto e razzismo.

Il modo in cui l’Unione tratta i popoli dei suoi Stati più deboli, come quello greco, ma non solo, e sfrutta i paesi afri­cani e medio­rien­tali e i loro abi­tanti, e soprat­tutto cerca di sba­raz­zarsi di quelli di loro che vogliono diven­tare, e già si sen­tono, cit­ta­dini euro­pei, è la nega­zione di tutto ciò che la Comu­nità, e poi l’Unione euro­pea, sem­bra­vano pro­met­tere con il richiamo ideale allo spi­rito di Ven­to­tene. L’alternativa a que­sto pro­cesso di dis­so­lu­zione non può essere che l’abbandono delle poli­ti­che di auste­rità e il varo di un grande piano euro­peo per l’inserimento sociale e lavo­ra­tivo sia di pro­fu­ghi e migranti che dei milioni di cit­ta­dini euro­pei oggi senza lavoro, senza casa, senza red­dito, senza futuro; affi­dan­done la gestione a quelle strut­ture dell’economia sociale e soli­dale che hanno dimo­strato di saperlo fare. Ma è anche la con­di­zione irri­nun­cia­bile per aiu­tare i pro­fu­ghi a costi­tuirsi in base sociale e punto di rife­ri­mento poli­tico per la ricon­qui­sta alla pace e alla demo­cra­zia dei loro paesi di ori­gine; per l’allargamento all’area medi­ter­ra­nea e nor­da­fri­cana di un’Unione euro­pea da rifon­dare dalle radici.

I con­te­nuti di quel piano non pos­sono che essere le misure e gli inve­sti­menti neces­sari per far fronte agli impe­gni sul clima da assu­mere alla pros­sima “Cop-21? di Parigi, se si vuole che l’Europa fac­cia la sua parte per argi­nare una cata­strofe immi­nente. Sono misure in grado di dare lavoro, red­dito e siste­ma­zione a tutti: pro­fu­ghi, migranti e cit­ta­dini euro­pei. Un piano del genere, che ha una dimen­sione eco­no­mica, ma deve avere soprat­tutto un risvolto sociale e una arti­co­la­zione fon­data sull’attenzione alle per­sone e alle vicende indi­vi­duali di cia­scuno, non può essere dele­gato né agli Stati, né agli organi dell’Unione, né alle logi­che del mer­cato. Deve nascere, rapi­da­mente, da un con­fronto tra tutte le forze sociali impe­gnate sul fronte del cam­bia­mento e tro­vare in un sog­getto attua­tore ade­guato. Che non può essere che la rete euro­pea dell’economia sociale e soli­dale. Per tra­dursi al più pre­sto in una piat­ta­forma poli­tica da pro­porre e soste­nere in alter­na­tiva alle scelte spie­tate e para­liz­zanti di que­sta Europa.

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