LONDRA. «L’esodo dei migranti siriani ha fatto emergere un nuovo spirito solidale in Europa e spinto la Germania ad assumere con intelligenza un ruolo guida». Per Anthony Giddens, ex-rettore della London School of Economics, ideatore della Terza Via e membro della camera dei Lord, sono i segnali positivi portati dalla crisi che da settimane scuote il continente. «Ma i rischi sono gravissimi, perché la questione dei migranti si mescola ad altre crisi, come quella dell’euro e dell’Ucraina, e rischia di spaccare ulteriormente l’Unione Europea», avverte il grande sociologo. Individuando nei profughi che fuggono dalla Siria un nuovo tipo di rifugiato: “il migrante globale”, con telefonino in tasca e conoscenza del mondo digitale.
Questa crisi sconvolgerà l’Europa, professor Giddens?
«Viviamo nell’era dei media 24 ore su 24, cosicché la crescente ondata di migrazione riceve una copertura mediatica costante, onnipresente e spesso in tono isterico, che viene poi adottato da qualche leader politico. Ma è sbagliato farsi prendere dall’isteria. Poniamo che 600 mila migranti l’anno entrino per cinque anni nell’Unione Europea: sarebbero in tutto lo 0,6 per cento della popolazione Ue, che sfiora i 500 milioni. Dunque è importante mantenere l’equilibrio nel valutare le possibili conseguenze di una situazione che presenta anche elementi positivi ».
Quali?
«Lo spirito di generosità e solidarietà umana che è emerso in molti paesi europei da parte di opinione pubblica, associazioni private e anche istituzioni pubbliche, uno spirito diverso da quello emerso in precedenza, che era fatto di sentimenti più negativi. Un altro elemento positivo è l’atteggiamento della Germania e del suo leader in particolare, Angela Merkel, che ha assunto un ruolo guida, dimostrando generosità ma pureintelligenza: il suo paese sta vivendo un declino demografico, la maggioranza dei migranti sono giovani, un dettaglio che non deve essere sfuggito al governo tedesco».
Dall’immagine del bambino annegato sulla spiaggia turca, alla stazione di Budapest invasa, alla marcia a piedi verso la Germania, questa storia ha colpito l’opinione pubblica europea come non era ancora accaduto. Cosa c’è di nuovo?
«Per me la novità più interessante è che, oltre a essere mediamente giovani, una parte sostanziale dei profughi siriani sono istruiti e digitalmente esperti: emigrano con il telefonino, come ha notato il New York Times , dunque sono capaci di rimanere in contatto con i parenti in patria e al tempo stesso sono consapevoli delle reazioni dell’opinione pubblica internazionale e di come le loro azioni, individuali o collettive, possano influenzarle. Sono migranti molto diversi da quelli che arrivano con i barconi dalla Libia o che fuggivano dai Balcani dopo la guerra nell’ex-Jugoslavia. Fanno parte del nuovo mondo digitale, potremmo definirli l’avanguardia di un ‘ migrante globale’ in grado di manifestarsi nel prossimo futuro non solo in Europa ma ovunque nel mondo ».
Come si può risolvere questa
crisi?
«È evidente che serve una strategia multilaterale, come quella delineata dal presidente della commissione europea Juncker per dare sollievo ai paesi che sono la prima linea dell’immigrazione, quali l’Italia. Il problema è la sindrome del discorso a vuoto. Alle istituzioni europee piace fare piani ambiziosi che spesso non vengono realizzati: vedi l’unione energetica, progetto di cui la Ue discute da 25 anni. Molti paesi europei mettono il proprio interesse davanti all’interesse collettivo dell’Unione, perciò il sistema non funziona».
Che pericoli ci sono per l’Europa?
«Non bisogna reagire istericamente, come ho detto, ma i pericoli sono seri. La crisi dei migranti può portare a divisioni e spaccature sempre più profonde tra il nord e il sud, e tra l’est e l’ovest, dell’Unione, e in teoria può minacciarne addirittura il collasso. La soluzione dipende dalla possibilità che un piano d’azione Ue diventi realtà, insieme alla necessità di interventi di vario genere per stabilizzare la Siria. Il problema è che la questione della Siria si mescola ad altre tre crisi europee: la crisi più ampia dei migranti; la crisi dell’eurozona; e il conflitto in Ucraina. Faccio un esempio: è improbabile che si possa risolvere la guerra civile in Siria e giungere a una pacificazione senza la collaborazione della Russia, ma lo scontro con la Ue sull’Ucraina rende difficile che Putin collabori con l’Europa sulla Siria».
Come influisce tutto ciò sul referendum sulla Ue indetto in Gran Bretagna entro il 2017?
«L’uscita della Gran Bretagna dalla Ue diventa più probabile a causa della crisi dei migranti perché l’immigrazione è la questione principale che spinge avanti i no alla Ue, diventati per la prima volta maggioranza in un sondaggio, forse non per coincidenza, proprio in questi giorni. E’ una paura irrazionale e fondamentalmente erronea, perché gli immigrati sono una risorsa per il Regno Unito, ma a livello psicologico può avere l’effetto di portare Londra fuori dall’Europa. E al tempo stesso, se il primo ministro Cameron rifiuta di partecipare a un’azione globale europea nei confronti della crisi dei migranti, è verosimile che la Ue sarà ancora più intransigente nelle trattative con cui Cameron vorrebbe rinegoziare l’appartenenza britannica all’Unione».