by redazione | 18 Settembre 2015 10:42
Popolazione mobilitata in tutto il paese, sciopero generale a oltranza, le organizzazioni politiche e quelle assai dinamiche e partecipi della società civile che chiamano alla resistenza, i media oscurati che continuano a informare i cittadini attraverso i social network, il leader del Consiglio nazionale di transizione Chérif Sy che sfida i golpisti assumendo le funzioni del deposto presidente ad interim.
Sono le prime risposte al clamoroso colpo di stato militare che in Burkina Faso ha interrotto bruscamente la fase di transizione verso le elezioni legislative e presidenziali dell’11 ottobre prossimo, facendo ripiombare il paese africano in un incubo che si pensava archiviato con l’insurrezione popolare del 30 e 31 ottobre 2014. Quella che portò alla cacciata del dittatore Blaisé Compaoré, dopo 27 anni filati di regno assoluto sul «paese degli uomini integri». Il Burkina Faso, appunto, reso tale dalla rivoluzione di Thomas Sankara, nel 1983, soffocata quattro anni dopo con la sua eliminazione da parte dello stesso Compaoré, con diffuse complicità internazionali.
Da ieri – come proclamato alla tv nazionale dal tenente-colonnello Mamadou Bamba a nome di un sedicente «Consiglio nazionale della democrazia» – il nuovo uomo forte del paese è Gilbert Dienderé, già capo di stato maggiore e braccio destro di Compaoré. E se quest’ultimo dell’omicidio di Sankara è considerato il mandante, Dienderé viene da più parti indicato come l’esecutore materiale, il responsabile dell’operazione che portò all’arresto e poi all’omicidio del «Guevara africano» nel 1987. Mercoledì era a capo anche del drappello di pretoriani della ex guardia presidenziale che ha interrotto a Ouagadougou il consiglio dei ministri, sciolto il governo e il Consiglio nazionale di transizione. Per poi trattenere contro la loro volontà il presidente Kafando, il premier Isaac Zida e un numero imprecisato di ministri.
Neanche i più pessimisti e distopici osservatori avrebbero scommesso su un colpo di coda così congegnato. A tornare in scena sono fantasmi del passato in pieno stile, esponenti a vario titolo del vecchio regime che avrebbero voluto dire la loro nelle urne, se non fossero stati dichiarati ineleggibili. Da qui l’esigenza di «entrare in azione», come ha dichiarato ieri Dienderé a Jeune Afrique, per scongiurare la «destabilizzazione pre-elettorale» e procedere a un voto «inclusivo». Con in pista quindi gli ederenti al Congrès pour la Démocratie et le Progrès (Cdp), i nostalgici di Compaoré.
Tra le misure prese ieri dai golpisti, la chiusura delle frontiere terrestri e aeree fino a nuovo ordine, il coprifuoco in vigore dalle 19 alle 6 del mattino, l’oscuramento dei principali media burkinabé a partire da Oméga Fm[1], l’emittente indipendente che si era già distinta nella copertura capillare dei fatti di un anno fa e che mercoledì ha subito un raid distruttivo da parte dei militari del Régiment de la Sécurité Presidentielle (Rsp). Interrotte le trasmissioni, ieri ha dirottato su Facebook le sue dirette. Paradossalmente, mentre i golpisti entravano in azione, a Ouagadougou giornalisti provenienti da 35 paesi erano impegnati nella sesta edizione del Festival International de la Liberté d’Expression et de la Presse (Filep).
A Bobo Djoulasso, seconda città del paese, la gente è scesa in piazza tra place de la Nation, place Tiéfo Amoro de e place de la Femme. È stata saccheggiata la sede locale del Cdp, il partito dell’ex dittatore (che ieri è arrivato in Congo-Brazzaville provenienete dal Marocco). La protesta nel pomeriggio ha preso la forma di un corteo motorizzato, dove lo slogan più ricorrente era «No a Gilbert Diederé». Colpito nei suoi beni a Yako, il villaggio natale, dove i manfestanti hanno dato alle fiamme la sua abitazione e quella di Eddie Komboigo, candidato presidenziale del Cdp.
Il bilancio dei disordini, a seconda delle fonti, oscilla tra una vittima e una dozzina. Ora si tratterà di veder quale sarà nelle prossime ore la reazione dell’esercito.
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