«L’auto deve cambiare o non sopravviverà al ventunesimo secolo». Sono parole di Fujio Cho, presidente della Toyota agli inizi del Duemila, che poco più di 10 anni fa aveva previsto una rivoluzione ecologica. Quelle parole oggi suonano come una sentenza definitiva.
Lo scandalo delle emissioni truccate negli Usa per l’omologazione dei veicoli diesel della Volkswagen ha, infatti, accelerato quel cammino e, nello stesso tempo, ha aperto un’enorme voragine all’interno di un sistema che già da tempo faticava a stare in piedi e soprattutto a darsi una nuova identità.
E’ uno scandalo che mette in ginocchio non solo il gruppo di Wolfsburg, ma la gran parte dei costruttori mostrando al mondo intero la miopia di molti governi nei confronti dello sviluppo dell’auto del futuro, pulita, ecologica e ad emissioni zero.
Avere improvvisamente scoperto che le auto a gasolio (in molti Paesi europei rappresentano più della metà delle vendite totali) sono ben lontane dal rispettare i limiti sulle emissioni di CO2 e NOx se non attraverso fraudolenti trucchetti è molto più di un autogol per l’intero sistema automotive. E’ un vero e proprio terremoto il cui rischio, però, era a conoscenza di tutti e tutti hanno preferito ignorare.
Se il mercato vuole il diesel diamoglielo, è stato il ritornello negli ultimi anni. Nonostante la certezza di danni ambientali, del proliferare delle polveri sottili, difficili e costose da abbattere. Dimenticando, travolti dagli utili e dal successo, la frase di Cho. Profetica più che mai.
Oggi però la situazione è davvero cambiata. Non per scelta di qualcuno, costruttore o governo, ma solo perché un investigatore ambientale, un certo John German ( il nome la dice tutta…) dirigente dell’International Councilon Clean Trasportation, ha smascherato la truffa ideata dai tedeschi. E che forse un giorno saranno in molti a ringraziare. Perché è da questo “giorno zero” che l’automobile può davvero cominciare un nuovo corso. In che modo? Facile, concentrando l’immenso sforzo economico verso un modello diverso di mobilità. Puntando sull’auto elettrica, per esempio. Propositi fatti già mille volte ma che oggi diventano una strada obbligata. Anche se l’auto ad emissioni zero resta ancora una partita per pochi. Difficile da vincere perché i listini sono troppo alti, i tempi di ricarica lunghissimi e le colonnine di distribuzione dell’energia ancora insufficienti in molti dei principali mercati del mondo. E’ per questo che le vendite non decollano: in Italia rappresentano lo 0,1 per cento del mercato, percentuale non molto lontana da quella della Gran Bretagna dove nel 2014 sono state immatricolate 6.700 elettriche a fronte di un mercato di 2 milioni e mezzo di macchine. Qualcosa di meglio riesce a fare la Germania. E ancora di più gli Stati Uniti. Ma anche se la crescita in percentuale è forte, le vendite in valore assoluto sono ancora troppo basse per ottimizzare un sistema produttivo. Ed è per questo, dunque, che bisogna accelerare i tempi magari attraverso la crescita delle vetture ibride (con il doppio motore, a benzina ed elettrico) che rappresentano il naturale passaggio verso la completa elettrificazione.
Qualcosa però si muove. Un’accelerazione dei modelli e stazioni di ricarica sempre più veloce. Segnali che hanno spinto la PricewaterhouseCoopers ad ipotizzare per il 2020 una quota di mercato del 6,3 per cento, un veicolo ogni sedici. Scenario che però secondo gli analisti non potrà prescindere da una riduzione dei costi delle auto e dalla qualità delle infrastrutture.
Perché ciò accada servono numeri ben più grandi. E per trovarli bisogna andare in Giappone dove le stazioni di ricarica per le elettriche, incredibile ma vero, hanno superato quelle degli altri carburanti: 40 mila a 34 mila. E indovinate con quale risultato? Un’accelerazione delle vendite di auto elettriche. Numeri e situazioni impensabili dalle nostre parti, ma quante altre cose lo erano prima dello scandalo delle emissioni truccate? E allora perché non seguire l’esempio? La californiana Tesla sta investendo molto nella rete di supercaricatori sia in Europa che negli Usa. Bmw e la stessa Volkswagen, in America hanno deciso di supportare la rete di ricarica veloce offerta da ChargePoint, co-finanziando 100 nuovi stazioni nelle città costiere. La cooperazione è fondamentale in questo settore: per garantire standard comuni di ricarica ma soprattutto per ammortizzare i costi. Per costruire una stazione per la ricarica veloce occorrono fino a 100 mila dollari, per questo il governo di Tokyo ha deciso di coprire fino ai due terzi del costo mentre Toyota, Honda, Nissan e Mitsubishi rimborseranno le amministrazioni locali che decidono di installare nuove colonnine di ricarica. Questo significa che per l’auto elettrica c’è un futuro. Forse l’unico possibile dove non ci sarà bisogno nemmeno di barare. Cambiare o morire…