by redazione | 22 Settembre 2015 10:36
«Storica» visita del segretario generale della Nato Stoltenberg, il 21/22 settembre, in Ucraina, dove partecipa (per la prima volta nella storia delle relazioni bilaterali) al Consiglio di sicurezza nazionale, firma un accordo per l’apertura di un’ambasciata della Nato a Kiev, tiene due conferenze stampa col presidente Poroshenko. Un decisivo passo avanti nell’integrazione dell’Ucraina nell’Alleanza. Iniziata nel 1991 quando, appena divenuta Stato indipendente in seguito alla disgregazione dell’Urss, l’Ucraina entra nel «Consiglio di cooperazione nordatlantica» e, nel 1994, nella «Partnership per la pace».
Nel 1999, mentre la Nato demolisce con la guerra la Jugoslavia e ingloba i primi paesi dell’ex Patto di Varsavia (Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria), viene aperto a Kiev l’«Ufficio di collegamento Nato» e formato un battaglione polacco-ucraino per l’operazione Nato di «peacekeeping» in Kosovo.
Nel 2002, il presidente Kuchma dichiara la disponibilità a entrare nella Nato.
Nel 2005, sulla scia della «rivoluzione arancione» (organizzata e finanziata da Washington attraverso «Ong» specializzate e sostenuta dall’oligarca Poroshenko), il presidente Yushchenko viene invitato al summit Nato a Bruxelles. Ma, nel 2010, il neoeletto presidente Yanukovych annuncia che l’adesione alla Nato non è nella sua agenda. Nel frattempo la Nato tesse una rete all’interno delle forze armate ucraine e addestra gruppi neonazisti (come prova una documentazione fotografica di militanti di Uno-Unso addestrati nel 2006 in Estonia da istruttori Nato).
I neonazisti vengono usati come forza d’assalto nel putsch di Piazza Maidan che rovescia Yanukovych nel febbraio 2014, mentre il segretario generale della Nato intima alle forze armate ucraine di «restare neutrali». Subito dopo va alla presidenza Poroshenko, sotto la cui guida – dichiara la Nato – l’Ucraina sta divenendo «uno Stato sovrano e indipendente, fermamente impegnato per la democrazia e il diritto».
Quanto sovrana e indipendente sia l’Ucraina lo dimostra l’assegnazione di incarichi ministeriali a cittadini stranieri scelti da Washington e Bruxelles: il ministero delle finanze è affidato a Natalie Jaresko, cittadina statunitense che ha lavorato al Dipartimento di Stato; quello del commercio e dello sviluppo economico al lituano Abromavicius, che ha lavorato per gruppi bancari europei; quello della sanità all’ex ministro georgiano Kvitashvili. L’ex presidente georgiano Saakashvili, uomo di fiducia di Washington, viene nominato governatore della regione ucraina di Odessa. E, per completare il quadro, Kiev affida le proprie dogane a una compagnia privata britannica.
Quanto l’Ucraina sia impegnata per la democrazia e il diritto, lo dimostra il fatto che i battaglioni neonazisti, rei di atrocità contro i civili di nazionalità russa nell’Ucraina orientale, sono stati inquadrati nella Guardia nazionale, addestrata da istruttori statunitensi e britannici. Lo dimostra la messa al bando del Partito comunista ucraino e della stessa ideologia comunista, in un clima persecutorio simile a quello dell’avvento del fascismo in Italia negli anni Venti. Per evitare testimoni scomodi, Kiev ha deciso il 17 settembre di impedire l’ingresso nel paese a decine di giornalisti stranieri, tra cui tre della Bbc, definiti «una minaccia alla sicurezza nazionale».
L’Ucraina di Poroshenko – l’oligarca arricchitosi col saccheggio delle proprietà statali, del quale il premier Renzi loda la «saggia leadership» – contribuirà anche alla nostra «sicurezza nazionale» partecipando come partner all’esercitazione Nato Trident Juncture 2015 che si svolge in Italia.
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