Cade un altro Muro l’Europa apre le frontiere applausi ai profughi e risuona l’Inno alla gioia

Cade un altro Muro l’Europa apre le frontiere applausi ai profughi e risuona l’Inno alla gioia

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HEGYESHALHOM. “Freude, schoene Goetterfunken, Tochter aus Elysium…”
cantano tutti insieme, volontari tedeschi, ungheresi, austriaci e cèchi, poliziotti bavaresi, e i migranti che avevano imparato l’inno online sognando la Terra promessa: sono le sei del pomeriggio quando il primo treno dall’Ungheria di Orbàn entra alla Hauptbahnhof, la stazione centrale di Monaco, con i primi 900 dei migliaia di disperati in fuga dalle guerre, e l’emozione travolge tutti. Giovani studenti tedeschi e volontari delle Chiese abbracciano siriani e afgani stremati, agenti e team della Croce rossa tedesca corrono al binario dando priorità ai bambini: vestiti asciutti e caldi, pupazzi di peluche, medicine.
Meno di un’ora di volo a sudovest, a Hegyeshalhom frontiera austro-ungherese, le stesse scene: migranti stremati varcano il confine a piedi nudi cantando l’ultimo movimento della Nona di Beethoven, l’inno dell’Ue che coraggiosi volontari magiari, sfidando il regime, avevano insegnato loro in corsa. Medici e soldati austriaci accorrono a coprirli e rivestirli, crocerossine viennesi giocano a pallone qui dove per mezzo secolo corse la frontiera della Guerra fredda con bimbi fuggiti da Aleppo o Palmira. Una generazione dopo la grande notte di Berlino unita, è crollato ieri il nuovo Muro con cui Orbàn voleva difendere «la purezza etnica dell’Europa cristiana». «Ci coordineremo, e il passaggio di oggi è stato un’eccezione », si sono detti al telefono Angela Merkel e Viktor Orbàn, ma da ieri nulla sarà più come prima.
Scendono a migliaia, dai treni che in arrivo a raffica sconvolgono il traffico di Muenchen Hauptbahnhof e dai bus dei volontari che a dozzine e dozzine li hanno raccolti sull’ultimo tratto ungherese della M1, l’autostrada Budapest-Vienna. «Tutti pronti a portarli ovunque in Germania, al diavolo le ferie», dicono un autista austriaco e uno tedesco. Da Monaco a Hegyeshalom, passando per le feste popolari nelle stazioni della capitale austriaca, la caduta del nuovo Muro ha mille volti stremati ma felici. Scendono da treni e bus, i bimbi stravolti di fatica: «Molti di loro hanno camminato a piedi scalzi sotto pioggia e vento negli ultimi 12-15 chilometri di frontiera», racconta la giovane Vanessa, studentessa di Amburgo accorsa da sola con la vecchia Polo caricata di biscotti, caramelle orsi teddy e vestiti d’infanzia usati. I bambini illuminano più d’ogni altro la caduta del nuovo Muro con la loro dolce spontanea gioia che fino all’altro ieri, minacciati dai neonazisti ungheresi, avevano dimenticato.
Si affollano sempre di più Monaco e le tante stazioni di Vienna imperiale: migranti che treno dopo treno arrivano ormai a migliaia, e cittadini comuni, carichi di buste e zaini con abiti e giocattoli, peluche, zaini da scuola pieni di penne e quaderni per i figli dei dannati della terra. “Germania, Germania, Merkel, Merkel”, gridano i migranti in ogni punto d’arrivo nel mondo libero con l’ultimo fiato in voce dopo tanti chilometri a piedi e tanta paura. Anziane signore della Monaco bon ton scoppiano in lacrime di gioia, «la Germania per bene li vuole e li ospiterà anche a casa».
Una lunga giornata quella della Mitteleuropa del Muro caduto. Torniamo a Hegyeshelhom. «Io e il mio team nato su Facebook siamo qui dalle 11 del mattino di ieri, non mi reggo in piedi ma distribuire settecento orsi di peluche a questi nuovi piccoli europei, centinaia di bimbi siriani o afgani ci ha riempito il cuore», dice Mark Ruiz, leader di un gruppo di volontari viennesi. «So che ne arriveranno altri cinque o seimila, siamo qui per questo, tra una Ong e l’altra ci diamo il cambio per poche ore di sonno. Con Vienna siamo in contatto continuo, ci dicono con sms in real time quanti camion con cibo, medicine, abbigliamento e giocattoli sono in viaggio verso la frontiera del Muro caduto». Mark quasi non si regge in piedi, «ma ti prego ascoltami solo ancora un momento: molti dei migranti che accogliamo, ce lo dicono i nostri medici, hanno addosso ferite recenti, di bottiglie rotte, armi da taglio, o sostanze urticanti che feriscono gli occhi. Giudica da te». Mi si avvicina elegante Renate Aichinger, regista di grido a Vienna: «Al diavolo le prove della prima, sono subito corsa qui con i miei colleghi, il mio medico è qui accanto a me, guarda la sua valigia piena di medicinali. Accogliere questa gente è gioia e orgoglio, vedere sui loro corpi come sono stati trattati fa venire i brividi, evoca i ricordi più orrendi».
Dal lato ungherese della frontiera, niente o poco più di niente. I poliziotti dicono mentendo che «è colpa degli austriaci che hanno chiuso il confine». Si avvicina un tenente della polizia austriaca, e si sfoga: «Collega, lavoriamo da decenni insieme al confine, non dire fesserie. La frontiera noi l’abbiamo lasciata aperta, abbiamo chiuso l’autostrada per evitare rischi d’essere investiti a tutti quei poveracci che voi avete lasciato camminare a piedi. Vuoi imparare a non mentire?».
Flashback a Monaco, grazie al collegamento online. Arriva a Hauptbahnhof un treno dopo l’altro, e a cantare l’Inno alla gioia sono sempre di più, compresi i tanti turchi integrati in Germania da decenni, e i medici o ingegneri siriani parte fiera della forte borghesia bavarese. «Viviamo un dramma epocale, ma anche un giorno epocale bello per tutti», afferma Hafiz, chirurgo alla clinica universitaria. A un passo da lui sul binario un gruppo di poliziotti lo applaude felice. In inglese, gli altoparlanti della stazione centrale di Monaco e quelli della parte austriaca del confine avvertono gentili: «Cari nuovi arrivati, andate al tale binario, o incamminatevi verso i pullman bianchi, proseguirete il vostro viaggio. Andrete in centri di accoglienza, poi la Germania provvederà a trovarvi casa lavoro e Kindergarten o scuole per i figli».
Ad Hegyeshalhom come a Vienna, in un gesto spontaneo coordinato, i migranti a piedi che calpestano finalmente il suolo austriaco baciandolo e quelli che scendono dai treni nella città di Bmw e Siemens voltano sguardo verso est: «Addio Ungheria, adesso proveremo a essere europei, vitanormale per i nostri figli». Le stesse scene che scorrono da Monaco sul tablet della giovanissima dottoressa Michaela Sevlickova, docente a Praga. Sta scaricando chili e chili di dolci e abbigliamenti per bimbi dalla vecchia auto della mamma. «L’ho costretta a seguirmi, ero appena stata a Budapest. Scusi, devo andare, c’è un gruppo di bimbi, corro a portar loro regali». Poco lontano da lei Katrin, infermiera della Croce rossa austriaca, sorride giocando a pallone con dei bimbi siriani, concede loro sempre un goal e come premio un dolcetto. Arriveranno ancora in migliaia. Katinka e Jànos, due dei tanti volontari ungheresi che hanno fatto il possibile per aiutare i fuggitivi, salutano Katrin e Michaela: «Ciao amiche, contattateci. Sappiamo di rischiare, l’aiuto ai migranti da ieri a Budapest è illegale. Ma sul piazzale di Hegyeshalhom risuona ancora Beethoven: «Gioia, bella scintilla divina dell’Elisio, noi entriamo ebbri nel tuo tempio celeste…».


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