BRUXELLES. Un accordo “di principio” che somiglia molto a un rinvio. E un rinvio che ha il sapore di una sconfitta. Non passano, per ora, le quote obbligatorie per la redistribuzione dei 120mila rifugiati proposte dalla Commissione. Anche sul numero, per ora non si trova un’intesa. I ministri dell’interno riuniti ieri a Bruxelles si limitano a prenderne atto: «i numeri proposti dalla Commissione costituiscono la base per un accordo sulla distribuzione di queste persone entro l’Unione europea », era scritto nell’ultima bozza su cui i rappresentanti dei governi si sono azzuffati fino a tarda sera. La spaccatura è talmente profonda che alla fine si è rinunciato a sottoscrivere una dichiarazione comune lasciando alla presidenza lussemburghese il compito di illustrare le conclusioni. Ogni decisione è rinviata alla prossima riunione del Consiglio affari Interni, che si terrà l’8 ottobre a Lussemburgo.
Si ripete insomma, almeno per ora, il brutto pasticcio di questa estate. Il 20 luglio, di fronte alla richiesta di Bruxelles di ripartire 40mila rifugiati in Italia e Grecia, i governi dissero no alle quote vincolanti e optarono per una redistribuzione volontaria. Ma già allora molti si tirarono indietro. Risultato: disponibilità ad accogliere solo 32mila persone. E gli 8mila posti mancanti, finora, non si sono ancora trovati. Figuriamoci ora, che i profughi da trasferire salgono a 160mila.
La giornata di ieri dedicata alla crisi migratoria è corsa su due binari paralleli, che si sono rivelati entrambi in salita. Da una parte la questione della redistribuzione, dall’altra quella dei cosiddetti hotspot , cioè i centri per la registrazione dei migranti e per la classificazione tra quanti hanno potenzialmente diritto all’asilo politico e quanti devono invece essere rimpatriati.
Sulla ridistribuzione, come si è detto, si è arrivati sostanzialmente ad un rinvio, pur accettando in linea di massima le cifre proposte dalla Commissione. L’opposizione ad un sistema di quote vincolanti da parte di cechi, ungheresi, slovacchi e polacchi, sostenuti dai tre baltici, è risultata insormontabile. Fino a tarda sera la discussione è stata bloccata dal ministro della Slovacchia che esigeva nelle conclusioni un riferimento esplicito al principio della «volontarietà». Proprio questa ostinazione, alla fine, ha impedito che si approvassero le conclusioni. Il timore dei Paesi dell’Est è che a ottobre, in mancanza di un accordo, la presidenza lussemburghese decida di mettere la questione ai voti e di far passare le quote vincolanti a maggio- ranza. Per questo vogliono fin da ora garanzie che non saranno obbligati ad ospitare contingenti di rifugiati senza il loro esplicito consenso.
La seconda partita che si è giocata ieri riguarda la questione della registrazione e del rimpatrio degli irregolari che non hanno diritto all’asilo. L’operazione deve essere fatta nei Paesi di accesso all’Unione, cioè in pratica Italia, Grecia e Ungheria. I centri dovrebbero aprire al più tardi entro l’anno. Francia e Germania premono moltissimo su questo punto, e ne fanno una pre-condizione per far partire la redistribuzione dei contingenti. Ieri, prima dell’apertura dei lavori, si è tenuto un incontro ristretto cui hanno partecipato, oltre ad Alfano, i ministri tedesco, francese, greco e ungherese e il commissario Avramopoulos. La Grecia e l’Italia hanno accettato, almeno in linea di principio, la creazione deglihotspot gestiti in collaborazione con gli esperti europei. Da noi dovrebbero essere sei: il primo a Lampedusa e gli altri vicino ai centri di prima accoglienza. Ma l’Ungheria continua a rifiutarsi di registrate i profughi e dunque respinge la richiesta dei partner europei.
Quanto all’Italia, spesso accusata di non registrare i migranti che sbarcano sulle nostre coste e minacciata ieri dai francesi di un nuovo blocco alle frontiere, il ministro Alfano ha messo alcune condizioni. La prima è che i centri di registrazione aprano solo dopo che sarà cominciata la redistribuzione dei rifugiati. Il secondo è che l’Europa si faccia carico del costo del rimpatrio di quanti non hanno diritto di asilo e devono dunque essere respinti. Anche se queste due richieste italiane, però, si sono ottenute solo rassicurazioni generiche e un impegno a rafforzare i poteri di Frontex in materia di rimpatrii. La questione, dunque, resta di fatto in sospeso. Nello stesso giorno, la Francia ha minacciato controlli alle frontiere con l’Italia.
Le uniche decisioni concrete prese ieri sono la pubblicazione di una lista di Paesi «sicuri », i cui cittadini non hanno diritto all’asilo politico, e l’avvio della fase due dell’operazione navale Eunavfor, che prevede l’uso della forza contro gli scafisti. La lista dei Paesi sicuri comprende, tra gli altri, tutti gli stati dei Balcani che hanno uno statuto di candidato all’adesione all’Ue. Dalla lista, però, è esclusa la Turchia, visto che la minoranza curda continua ad essere vittima della repressione governativa.