La celebrazione dell’immigrazione e della multietnicità rappresentata dall’incontro fra un kenyano- americano e un italo-argentino entrambi assurti per merito al massimo soglio impensabile delle proprie vocazioni, non poteva avvenire in un momento più intenso, mentre i continenti dai quali provengono, Africa, Europa, le due Americhe, sono squassati da migrazioni epocali. Ed entrambi, Barack Hussein Obama e Jorge Mario Bergoglio, il presidente nero vestito di nero e il Papa bianco vestito di bianco, erano acutamente sensibili alla straordinarietà storica di questo incontro, quando l’argentino ha ricordato di «essere figlio di immigrati», accolto in una nazione «costruita da immigrati». E il presidente ha invitato il mondo ad accogliere quelli come loro, quelli che fuggono e cercano salvezza dalle guerre, dalle persecuzioni e dalla fame.
Questa, fissata nei pochi minuti dello scambio di discorsi fra il Papa e il Presidente in un giardino della Casa Bianca gremito da migliaia di invitati come non l’avevo mai visto, è l’istantanea del mondo nel quale già viviamo e vivranno i nostri figli. Un mondo dove, forse, la profezia di Martin Luther King — un pastore protestante, divenuto un santo laico universale — citato proprio da Francesco si potrebbe avverare. E le persone saranno giudicate non dal colore della pelle, dai documenti di identità, dalle qualifiche professionali, dalla provenienza, ma dal loro carattere.
L’entusiasmo prorompente che ha accompagnato il Papa nel tragitto fra la Casa Bianca e la Chiesa di San Matteo (protettore degli impiegati pubblici, dunque perfetto per una capitale brulicante di ministeri e burocrati come Washington) lungo le grandi Avenue del centro ancora verdissime dopo l’estate calda, ha richiamato le sequenze del viaggio di Karol Woytjla nel 1995, quando a Newark esplose un calore che ricordava, come disse Bill Clinton in un’intervista a Repubblica per il funerale di Giovanni Paolo II, «l’esaltazione attorno a una super rock star». Ma nel- la folla che, dalle quattro del mattino, benedetta da una giornata perfetta, aspettava di veder passare Bergoglio su quella Jeep Chrysler che sembra una cripta verticale, c’era il segno umano di quanto sia cambiata anche la folla e stia cambiando il volto degli Stati Uniti in 20 anni.
La presenza di latinos, donne, bambini, uomini accalcati contro le transenne della via trionfale, la Constitution Avenue, e al mattino davanti al palazzetto della Nunziatura Apostolica, era schiacciante. E il loro trasporto manifestava, come mai prima, l’identificazione di queste folle di migranti venuti dal Sud della “Frontera” con un uomo del sud come loro, con uno che ha conosciuto il pane amaro dell’estraneità. Anche la bambina lanciata dalla madre oltre le transenne verso la Jeep bianca, prima fermata, con molta premura dagli omoni della sicurezza e poi portata in braccio dal Papa che l’aveva invitata a raggiungerlo era “latina”. Un’offerta gentile all’altare di qualcuno che dimostrava, nell’apoteosi di una vittoria che sente anche propria, i sogni di chi ha voluto farla nascere e farla crescere in America.
Se Barack Obama incarna il classico, e ormai molto logoro, “American Dream”, il sogno darwiniano di passare dal nulla al tutto, di essere l’ underdog, lo sfigato di nascita che ce la fa, nella stretta di mano attraverso i continenti c’era il nuovo Sogno portato da un altro americano, quello della salvezza di chi non avrà mai i mezzi per scalare la piramide sociale e vede ormai bloccata la scala mobile della prosperità diffusa. Colpiva, nel discorso breve di Bergoglio che oggi sarà elaborato di fronte alle Camere riunite per il terrore di conservatori, di ultra liberisti del Tea Party, di negazionisti del disastro ecologico, l’assenza di temi formalmente teologici e la preferenza, inedita per gli americani, della sua Teologia della Giustizia terrena, in attesa di quella ultraterrena.
Il tempo, o la Provvidenza per chi crede, ha portato ai vertici della Chiesa Cattolica Romana e della nazione americana uomini portatori di una coscienza, e di una conoscenza diretta del mondo che i predecessori non avevano. Essere stati “stranieri in patria”, avere vissuto dal basso le condizioni reali della società umana, Bergoglio nei barrios argentini devastati dalla corruzione e dal malgoverno, Obama negli hood , nei ghetti di Chicago, li accomuna. Per i loro nemici, restano alieni, troppo africano Obama, troppo “sinistrino” Bergoglio, ma non diciamolo alle folle che sognano di accarezzare il Papa sulla guancia, come ha fatto una mano misteriosa sporgendosi dal gruppo che lo attendeva fuori dalla Nunziatura. Per loro, sono i meticci, i figli del nomadismo umano, il volto vero del mondo.