Asilo in quarantotto ore ecco perché l’Ue guarda all’esempio svizzero

Asilo in quarantotto ore ecco perché l’Ue guarda all’esempio svizzero

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Nella Confederazione centri di registrazione situati sulle frontiere esterne e i controversi criteri di ripartizione sono attivi da tempo Per questo la cancelliera tedesca si è detta “ispirata” dall’esempio elvetico 
Accade raramente che l’Europa prenda come esempio la piccola Svizzera. Ma la crisi dei profughi sconvolge anche certi copioni. All’inizio del mese la cancelliera tedesca Angela Merkel dopo la sua visita in Svizzera si è mostrata “ispirata” dal sistema di asilo elvetico. L’Europa — ha detto — può imparare da esso.
Merkel ha studiato le statistiche sui richiedenti asilo: accanto ai rifugiati di guerra dalla Siria e dall’Afghanistan, la maggior parte delle richieste di asilo in Europa proviene dai kosovari. In Svizzera le cose stanno in modo diverso. Qui i kosovari sono solo una piccola percentuale di tutti i richiedenti asilo per i quali è stata avviata la procedura — nonostante la grande diaspora kosovara in Svizzera. È il risultato di un’impostazione nuova. Per i richiedenti asilo provenienti dai Balcani occidentali che danno garanzie contro le persecuzioni, la Svizzera ha introdotto una procedura di 48 ore. Da allora le richieste sono nettamente diminuite. I richiedenti asilo vengono radunati nei centri della Confederazione, per essere interrogati nel giro di due giorni da personale specializzato, dopodiché nella maggioranza dei casi vengono respinti. La Svizzera ha stipulato appositi accordi con il Kosovo, la Bosnia-Erzegovina e la Serbia. In cambio aiuta quegli Stati con progetti, ad esempio nell’edilizia o nel sistema scolastico. Nel frattempo, le autorità svizzere adottano una strategia di accelerazione anche con i richiedenti asilo provenienti da Paesi africani considerati sicuri. Chi viene da Marocco, Tunisia, Gambia, Nigeria o Senegal viene preso in esame più rapidamente di chi arriva da Siria, Eri- trea o Afghanistan.
Quando la cancelliera tedesca vuole farsi ispirare dalla Svizzera, pensa anche ai centri di registrazione situati sulle frontiere esterne e i controversi criteri di ripartizione. La Svizzera ha messo in atto entrambe le cose da tempo e sta per varare una riforma. Il principio è: procedure d’asilo più rapide, ma eque. Il sistema di asilo su base federale viene centralizzato. Solo i profughi con buone prospettive di ottenere il diritto alla permanenza sono assegnati ai cantoni, in ragione di quote di ripartizione fisse. Le procedure di asilo nei centri confederali devono durare al massimo 140 giorni; quelle per i profughi nei cantoni al massimo un anno. I termini di presentazione dei ricorsi da parte dei richiedenti asilo vengono abbreviati e viene messo a disposizione gratis un legale.
La Svizzera è diventata la prima della classe in Europa per quanto riguarda l’asilo? Solo fino a un certo punto, almeno a giudizio delle organizzazioni internazionali. Amnesty International e l’Unhcr la criticano perché gli esuli di guerra siriani che non possono dimostrare di essere perseguitati individualmente non vengono riconosciuti come profughi. La maggioranza dei siriani è perciò «accolta in via provvisoria» e ha meno diritti. Lo status di queste persone è meno attraente di quello garantito da altre protezioni in Europa. Questa prassi è uno dei motivi per i quali la Svizzera non è tra le mete prioritarie dei profughi da Siria, Afghanistan o Iraq. E contribuisce anche a far sì che la quota svizzera di richieste di asilo in Europa sia in calo. Nel 1998 l‘11% di tutte le richieste in Europa erano presentate in Svizzera. Nel 2014 erano il 3,8%; nel 2015 la quota “svizzera“ ammonterà, secondo le previsioni, al 3,1%.


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