by redazione | 14 Agosto 2015 15:15
La distanza tra il Programma di Salonicco con cui Alexis Tsipras aveva vinto le elezioni a gennaio e il Memorandum al voto nel Parlamento greco si misura interamente al paragrafo 4.2. Sotto il titolo «Mercato del lavoro e capitale umano» si legge che il governo greco si impegna, come «azione prioritaria», a rivedere la norma che applica il contratto collettivo di lavoro ai nuovi assunti, approvata per reintegrare con tutte le garanzie i 2600 dipendenti pubblici (tra i quali i giornalisti della tv pubblica Ert e le lavoratrici del ministero delle Finanze) licenziati dal precedente governo Samaras. Ora si torna alla casella di partenza: stop alla proroga del contratto per spianare la strada ai licenziamenti di massa, che l’esecutivo prova a evitare prendendo tempo attraverso «un processo di consultazione condotto da un gruppo di esperti indipendenti per riformare il mercato del lavoro, la disciplina dei licenziamenti collettivi e della contrattazione collettiva», da lanciare a ottobre «tenendo conto delle migliori pratiche a livello internazionale e in Europa» e appoggiandosi a organizzazioni internazionali come l’Ilo, che dovrebbe fungere da garante per evitare una destrutturazione selvaggia del mercato del lavoro.
L’altro punto caldo riguarda la svendita del Paese per fare cassa. «Le privatizzazioni possono aiutare a rendere l’economia più efficiente e a ridurre il debito pubblico», si legge nel documento. L’«ambizioso piano» di vendite per 50 miliardi va dall’energia elettrica ai porti di Atene e Salonicco, fino agli aeroporti regionali. I soldi, com’era già scritto nell’accordo del 12 luglio, finiranno per metà a pagare la ricapitalizzazione delle banche elleniche e per l’altra metà saranno divisi in due: in parte a ripagare il debito e in parte destinati a investimenti.
Quanto Tsipras riesca nell’ardua impresa di limitare i danni di questo nuovo giro di vite imposto alla Grecia dalla troika sarà tutto da vedere. Quel che è certo è che, a leggere il testo dell’accordo, l’impressione netta è che, tra un «ambizioso piano di privatizzazioni» e le riforme di pensioni (sul modello Monti-Fornero), scuola (dov’è previsto un allineamento all’Europa) e lavoro non si deragli in nessun punto dal paradigma dell’austerità e del liberismo, solo mitigato da alcune (pur rilevanti) contromisure sociali, come l’estensione del servizio sanitario a tutta la popolazione o la previsione di un reddito minimo per i disoccupati di lunga durata e i giovani fino a 29 anni.
Il Memorandum è un insieme di misure con scadenze dettagliate e più vaghe dichiarazioni d’intenti. Gli obiettivi indicati sono quattro: «sostenibilità fiscale» (con l’accettazione del Fiscal compact), «stabilità finanziaria» (da ottenere attraverso la messa in sicurezza del sistema bancario), «crescita, competitività e investimenti» e «modernizzazione» dello Stato e della pubblica amministrazione. Il governo Tsipras prova a mettere in luce ciò che è riuscito a spuntare nelle trattative con l’ex troika: soprattutto gli 86 miliardi e le limature dell’avanzo primario che consentiranno di recuperare un’altra ventina di miliardi, con i quali provare a rimettere in moto l’economia attutendo i colpi delle leggi più recessive; il fatto che pagherà pure chi finora non era stato toccato dalla crisi, attraverso la tassa sul lusso (già approvata) e la lotta all’evasione fiscale e alla corruzione; infine le misure sociali, dal reddito minimo al pagamento in cento rate dei debiti con lo Stato (che però sopra i 5 mila euro vedranno crescere gli interessi dal 3 al 5 per cento), fino all’estensione del servizio sanitario nazionale pure a chi non è assicurato (una misura, quest’ultima, molto importante per garantire le cure a tutta la popolazione). Tra le priorità assolute, fortemente volute dal governo Syriza, ci sono la lotta all’evasione e alla corruzione, così come, tra le «compensazioni» per alleviare l’impatto di tasse e tagli, c’è l’intento dichiarato di agevolare la formazione di cooperative agricole e di sostenere i giovani che intendono tornare alla terra.
Dalla mannaia dell’austerità non si salva nessuno: non le isole che si vedranno aumentare definitivamente l’Iva, con gradualità fino al primo gennaio 2017, non le scuole private che finora non pagavano imposte e ora dovranno versare il 23 per cento, e neppure la marina mercantile e gli agricoltori. Questi non godranno più delle agevolazioni sul gasolio e riceveranno una stangata sul reddito (l’anticipo da versare passerà dal 27,5 al 55 per cento, mentre l’aliquota complessiva salirà dal 13 per cento al 20 per arrivare al 26 per cento nel 2017). Una cura da cavallo che non esce dal solco dell’austerità, sia pur mitigata da «compensazioni» sul piano sociale. Tutto da realizzare in appena tre anni, in cambio di una pioggia di miliardi in arrivo attraverso il Meccanismo di stabilità europeo e il «piano Juncker».
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