La Grecia dice sì all’accordo con l’ex Troika. Ora però ha il problema di trovare un governo in grado di implementarlo. L’esecutivo di Alexis Tsipras e Syriza sono usciti a pezzi dal drammatico dibattito notturno che ha dato via libera al piano di riforme concordato con Ue, Bce e Fmi per sbloccare 86 miliardi di aiuti. Il provvedimento è passato con 222 favorevoli, 64 contrari e 11 astenuti. Una maggioranza quasi bulgara dietro cui si nasconde però un enorme problema politico per il premier: l’ok è arrivato solo grazie all’appoggio dell’opposizione europeista. Ben 43 deputati di Syriza (12 in più rispetto all’ultimo passaggio parlamentare) sono andati contro le indicazioni di partito. Dalle fila del governo – forte in teoria di 162 voti su 300 – sono arrivati solo 118 “sì”, sotto il minimo di 120 necessari per sopravvivere a un voto di fiducia. A dire “no” sono stati i rappresentanti della sinistra radicale oltre a Yanis Varoufakis («non posso approvare queste misure ma sono pronto a lasciare il seggio») e alla presidente della Camera Zoe Konstantopoulou, che ha fatto duro ostruzionismo per tutta la notte cercando di far deragliare l’ok al piano di salvataggio.
Cosa succederà ora? Quello che è chiaro a tutti, Tsipras in primis, è che «così non si può andare avanti», come ha detto il leader di Nea Demokratia Evangelis Meimarakis. Incassato l’ok al memorandum, l’opposizione non pare più intenzionata a fare da stampella a lungo. A meno, improbabilissimo, che il presidente del Consiglio accetti di varare un esecutivo di unità nazionale. Il governo però, con 40 deputati di Syriza pronti a varare un nuovo partito anti-memorandum, non ha più i numeri per camminare sulle sue gambe. «Ci muoveremo secondo le regole dell’aula e della Costituzione », ha detto la portavoce Olga Gerovasili.
Il percorso, secondo le indiscrezioni in arrivo da Atene, è segnato: Tsipras potrebbe chiedere un voto di fiducia subito dopo aver incassato la prima tranche di aiuti e pagato il 20 agosto i 3,2 miliardi di prestiti in scadenza alla Bce. La sua speranza è recuperare parte dei deputati che si sono espressi ieri in dissenso con la linea di partito (possibile, dicono in molti) e arrivare oltre quota 120. In quel caso potrebbe tirare avanti con un governo di minoranza e i voti dell’opposizione per un paio di mesi con due obiettivi: prendere tempo fino al Congresso straordinario di Syriza previsto a settembre per formalizzare la scissione con la Piattaforma di sinistra di Panagiotis Lafazanis, ma soprattutto arrivare alla prima verifica del memorandum senza contraccolpi e aprire il tavolo per la ristrutturazione sul debito. A quel punto potrebbe andare a elezioni anticipate sfidando nelle urne l’attuale minoranza del partito, forte di un grande vantaggio nei sondaggi. Se invece non otterrà la fiducia, Atene andrebbe alle urne in tempi molto più stretti.
Bruxelles, come ovvio, segue con il fiato sospeso le fibrillazioni politiche sotto il Partenone. Il memorandum prevede che il governo ellenico «controlli in pieno» l’attuazione del piano. La maggioranza Syriza- Anel al potere oggi non è ovviamente in grado di garantirlo. La speranza dell’ex Troika è che l’eventuale voto anticipato serva almeno – al netto dell’inevitabile incertezza in campagna elettorale – a fare chiarezza. Consegnando le redini della Grecia a una Syriza 2.0 guidata dal nuovo Tsipras in versione riformista e con l’ala radicale all’opposizione oppure a un cartello europeista in cui i creditori sperano si possano confederare tutte le opposizioni. Atene ha del resto un bisogno disperato di stabilità. L’economia è cresciuta a sorpresa dello 0,8% nel secondo trimestre dell’anno. I controlli di capitale imposti a fine giugno hanno mandato in fumo questi progressi (il pil 2015 è previsto in calo del 2,1-2,3%) e ben difficilmente potranno essere tolti prima dell’eventuale voto anticipato.