Tra i palestinesi di Betlemme “Dovete fermare i coloni terroristi”

by redazione | 10 Agosto 2015 8:58

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BETLEMME. «NESSUNO, non si vede nessuno. Dalla guerra dello scorso anno per noi è un disastro, ora con questi momenti di tensione sta succedendo lo stesso». Ahmad allarga sconsolato le braccia, il suo negozio vende articoli religiosi a poche decine di metri dalla Chiesa della Natività (dove i pellegrini ci sono, ma sono in maggioranza africani e russi) e sono giorni da incasso zero. Nei Territori è una domenica blindata, dopo la morte di Saad Dawabcheh — padre di Ali, il bimbo di 18 mesi morto bruciato vivo la settimana scorsa a Duma — i palestinesi hanno giurato vendetta e cercano giustizia.
La prima la grida (senza troppa convinzione) Hamas dalla Striscia di Gaza, dove si limitano a un paio di razzi lanciati contro i villaggi israeliani, la seconda la chiedono i familiari (la madre e il fratellino di Ali sono ancora in ospedale in gravi condizioni) la pretende Abu Mazen, la auspicano i cristiani della Terra santa ma la vogliono soprattutto molti israeliani (il presidente Reuven Rivlin in prima fila) convinti che occorre fermare prima che sia troppo tardi gli ultras dell’ebraismo “messianico”.
Molta tensione ma nessun serio incidente. Dopo i sassi lanciati contro i poliziotti sabato pomeriggio ai funerali di Saad, tutto è calmo anche nella zona di Nablus, le teste calde che chiedono una Terza Intifada non hanno (per ora) alcun seguito e le vere operazioni militari le stanno facendo — poche centinaia di metri più in là — reparti speciali dello Shin Bet. Agenti israeliani contro coloni ebrei: non è la prima volta, ma adesso il governo di Netanyahu sembra fare sul serio. Con un’operazione che non ha precedenti nove coloni sono stati arrestati in due insediamenti in Cisgiordania, no comment su nomi e responsabilità, forse non saranno gli autori materiali ma potrebbero essere implicati nell’attacco notturno con bottiglie incendiarie alla casa di Saad.
Arresti che seguono quelli dei giorni scorsi, con la “detenzione preventiva” (sei mesi in prigione senza processo e senza condanne) applicata — ed è la prima volta che vengono colpiti estremisti ebrei — nei confronti di due leder della destra religioso- messianica come Meir Ettinger (nipote del famoso rabbino Kahane, ucciso da un estremista arabo a Manhattan nel 1990) ed Eviatar Slonim, accusati entrambi di “terrorismo ebraico”. Per un terzo estremista, Mordechay Meyer, l’arresto preventivo era stato deciso dal ministro della Difesa Ya’alon la settimana scorsa. Lui, che si fa chiamare con il nome ebraico Ben Gedalia, è sospettato di aver partecipato agli incendi dolosi della Chiesa della Dormizione a Gerusalemme e di quella della moltiplicazione dei pani e dei pesci a Tiberiade. E proprio ieri diverse chiese cattoliche hanno sporto denuncia contro il rabbino Bentzi Gopshtain, leader di Lehava ( Fiamma), il principale gruppo estremista ebraico che da giorni predica l’attacco a chiese e moschee: «Bruciarle è un diritto biblico».
È semideserta anche Gerico. Qui a controllare che non accada niente ci sono i poliziotti palestinesi e gli unici segni di una rivolta che non c’è sono i cartelli e gli striscioni che denunciano i ragazzi «imprigionati e torturati » nelle carceri di Israele.
«Quello è un altro focolaio pronto ad esplodere», raccontano nei villaggi arabi che circondano Gerusalemme Est, decine di detenuti palestinesi sono in sciopero della fame per protestare contro le condizioni carcerarie e la legge sull’alimentazione “forzata” varata nei giorni scorsi. Così ieri — invece dei soliti sassi — la protesta ha assunto una forma “gandhiana”, con altri dozzine di detenuti che si sono uniti e centinaia di altri pronti a farlo nei prossimi giorni. A Ramallah Mohammed Allan, arrivato al 55esimo giorno di protesta, è già un eroe popolare e i leader palestinesi hanno preannunciato il ricorso alla Corte Penale dell’Aja.
Lungo le strade che da Gerusalemme vanno a sud, nei Territori che costeggiano insediamenti ebraici difesi da reticolati ad alta tensione, molti pannelli solari — vitali per l’energia di questi villaggi e di queste case — sono fuori uso. «Sassi, li hanno spaccati con i sassi», spiega Tayseer, palestinese che ha portato la famiglia (moglie e cinque figli) nei sobborghi orientali della capitale dello Stato ebraico per non farli crescere in mezzo alla violenza: «Hanno iniziato a tirarli alle auto con targa ebraica, poi sono passati ai pannelli solari, purtroppo i teppisti ci sono da tutte le parti».
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