Terza sva­lu­ta­zione, i «quattro complessivi» e i dissidi interni al Partito

by redazione | 14 Agosto 2015 16:31

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Ieri la Banca del popolo cinese (Bpc), che ha deciso per una terza sva­lu­ta­zione dello yuan (1%), in una con­fe­renza stampa a Pechino ha con­fer­mato quanto soste­nuto dai media nazio­nali il giorno pre­ce­dente. Lo scopo delle mano­vre sarebbe di «lasciare che sia il mer­cato a deci­dere il tasso di cam­bio» e la Bpc si asterrà «da inter­venti rego­lari sul mer­cato dei cambi».

Lo ha soste­nuto Yi Gang, vice gover­na­tore della Bpc aggiun­gendo che il cam­bio dello yuan verrà man­te­nuto ad un livello «più o meno sta­bile e ragio­ne­vole». Le borse, dopo un tonfo istin­tivo dei giorni pre­ce­denti, hanno rim­bal­zato, finendo per dige­rire il boc­cone amaro lan­ciato da Pechino. È pre­su­mi­bile che nei pros­simi giorni le oscil­la­zioni avranno fine e tutto tor­nerà alla «nuova normalità».

Que­ste due parole sono anche lo slo­gan con cui la lea­der­ship cinese ha annun­ciato il pros­simo periodo sto­rico: una «nuova nor­ma­lità» fatta di cre­scita più con­te­nuta ma più qua­li­ta­tiva. E per fare in modo che que­sto avvenga Xi Jin­ping oltre alle riforme ha lan­ciato una vio­lenta cam­pa­gna anticorruzione.

Ma l’azione di Xi non è solo costruita allo scopo di scar­di­nare mec­ca­ni­smi malati (che fini­scono per far morire molti inve­sti­menti), per­ché nasconde anche una bat­ta­glia poli­tica all’interno del Par­tito, da cui potreb­bero non essere esenti gli ultimi scos­soni, da quelli della borsa di Shan­ghai e le ripa­ra­zioni al danno, fino ad arri­vare alla scelta di tor­nare a favo­rire le esportazioni.

Ci sono due ragio­na­menti da fare al riguardo. Xi Jin­ping è giunto al potere dopo una furiosa bat­ta­glia, alla fine della quale è stato sra­di­cato quel grup­petto all’interno del Par­tito che poteva essere col­le­gato alla cosid­detta «nuova sini­stra» cinese (Bo Xilai e poi Zhou Yon­g­kang, che gestiva sicu­rezza e petro­lio). Un mix di maoi­smo e diri­gi­smo che mal vedeva le aper­ture richie­ste dai libe­rali. Xi Jin­ping, per quanto ambi­guo nelle sue posi­zioni eco­no­mi­che, ha aval­lato que­sta bat­ta­glia, finendo però per ritro­varsi con i libe­rali agguer­riti in seno al Partito.

Uno di que­sti è sicu­ra­mente il pre­mier Li Keqiang, che in que­ste set­ti­mane non viene dato in par­ti­co­lare sin­to­nia con il pre­si­dente (tanto che si parla di screzi e della pos­si­bi­lità di un nuovo team ad hoc per la gestione eco­no­mica). Xi, però, ben­ché si sia amman­tato di un’aura da rifor­ma­tore (che deriva anche dal padre, uno degli eroi della Repub­blica popo­lare) ha finito per pro­vo­care una ster­zata in seno al Par­tito: da una gestione col­let­tiva si è pas­sati ad una auto­ri­ta­ria e indi­vi­duale. Ha lan­ciato i cosid­detti «quat­tro com­ples­sivi», per una «com­ples­siva costru­zione di una società mode­ra­ta­mente pro­spera, il com­ples­sivo appro­fon­di­mento delle riforme, il com­ples­sivo Stato di diritto, la com­ples­siva rea­liz­za­zione della disci­plina di Par­tito» met­ten­dosi al di sopra di tutto e lasciando inten­dere di poter rima­nere alla guida oltre i dieci anni canonici.

Xi Jin­ping, e veniamo al secondo ragio­na­mento, ha con­tras­se­gnato la pro­pria lea­der­ship con un richiamo al maoi­smo nella gestione del rap­porto tra Par­tito e popo­la­zione, al con­fu­cia­ne­simo nel ten­ta­tivo di resti­tuire un’identità ai cinesi e con un forte auto­ri­ta­ri­smo in mate­ria di sicu­rezza e di eco­no­mia. Ma ha finito, pre­su­mi­bil­mente, per farsi dei nemici, com­presi, forse, i sodali di tanti fun­zio­nari finiti nella rete dell’anti corruzione.

Ora pro­ba­bil­mente qual­che nodo è giunto al pet­tine e non è detto che le deci­sioni della banca cen­trale non rien­trino in un gioco poli­tico in corso all’interno del Par­tito. Non a caso al tra­di­zio­nale incon­tro di Bei­dahe, un sum­mit di ver­tice, Xi Jin­ping non ha pre­sen­ziato, ricor­dando quelle lun­ghe assenze di Mao pro­prio a ridosso e in pre­pa­ra­zione di azioni con­tro i pro­pri nemici.

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