Riduzione del danno. La strategia di Firenze e Torino «Vanno aiutati e informati Non sanno che cosa prendono»

Riduzione del danno. La strategia di Firenze e Torino «Vanno aiutati e informati Non sanno che cosa prendono»

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Accanto ai controlli anti-spaccio e al lavoro di prevenzione sul territorio, c’è un’altra strategia adottata in alcune regioni italiane per prevenire tragedie come quelle che a Riccione e Gallipoli hanno portato alla morte di due ragazzi. Si chiama «riduzione del danno»: non potendo eliminare del tutto l’uso di stupefacenti, si cerca di limitarne il più possibile i danni alla salute.
«Con l’ecstasy il problema è il colpo di calore, bisogna bere molta acqua, fare pause mentre si balla, cercare di non accaldarsi troppo. Con la ketamina — un anestetico veterinario che dà dissociazione — è che ti fa sentire leggero ma nel frattempo ti immobilizza. Quindi devi evitare bagni in mare, perché rischi di affogare, e stare lontano dai luoghi da cui si può cadere. Le feniletilammine invece spesso vengono vendute come ecstasy, ma sembra che non producano effetti perché hanno tempi di attivazione più lunghi. Così è facile assumerne troppe e il sovradosaggio può causare paralisi».
Stefano Bertoletti, psicologo della Cooperativa Cat di Firenze, elenca come ha fatto innumerevoli volte nelle discoteche e nei rave party toscani gli effetti delle più diffuse droghe sintetiche che popolano le notti italiane. E le conseguenze in cui incorre chi, nonostante tutto, decide di consumarle.
«A Firenze offriamo assistenza nei luoghi di consumo, feste e discoteche, e poi abbiamo uno spazio in una delle zone della movida nel centro storico, attivo dall’una di notte durante il fine settimana. In entrambi i casi diamo infor-mazioni sugli effetti delle sostanze e poi uno spazio di “chill out”, cioè di depressurizzazione, con divanetti, acqua e operatori addestrati al primo soccorso che possono allertare il personale medico in caso di bisogno. Le persone possono aspettare di smaltire gli effetti di alcol e droga in un ambiente controllato e sicuro» dice Bertoletti. Non significa aiutare le persone a drogarsi: «Tutt’altro: questo approccio permette un primo contatto con i consumatori per iniziare a ragionare sugli aspetti più critici dei loro comportamenti. Se ti poni con atteggiamenti moralistici non ti ascoltano neppure».
Spesso si associa il consumo più pericoloso di droga ai rave party illegali, ma rischiano molto anche i consumatori occasionali, soprattutto ragazzi molto giovani che vanno nelle discoteche «normali». Con le cosiddette sostanze sintetiche basta una volta per subire conseguenze molto pesanti.
«Sono fatte in strutture clandestini che certo non misurano i componenti come in un laboratorio medico — avverte Riccardo Gatti, direttore del Di-partimento dipendenze delle Asl di Milano —. Ci può finire dentro di tutto».
«La cosa più pericolosa è che i ragazzi spesso non sanno cosa consumano» conferma il torinese Lorenzo Camoletto, operatore del coordinamento Itardd (Rete italiana riduzione del danno). La maggior parte delle sostanze vengono vendute sotto forma di polvere bianca. Se uno spacciatore ha del Mefedrone (uno stimolante conosciuto anche come «4MMC» o « meow-meow ») e tutti gli chiedono l’ecstasy, non ha nessuna difficoltà a dire che quella polvere è proprio ecstasy. Ma i rischi sono molto diversi.
«In Spagna, Svizzera e in Nord Europa si fa il “drug checking”: nelle discoteche ci sono presidi mobili che permettono di analizzare quello che si prende». Il consumatore può far testare le pasticche e sapere quale principio attivo contengono. «Da un punto di vista legale è una zona grigia. Noi dell’Itardd abbiamo chiesto di autorizzarlo a livello formale, stiamo aspettando una risposta», aggiunge Camoletto. «Ma l’aspetto più complicato è convincere i ragazzi a fidarsi di noi: sono abituati a un sistema di assistenza che li criminalizza. I 17enni non vengono a dire a un adulto “io mi drogo” e quindi non chiedono aiuto».
I servizi di riduzione del danno sulle droghe sono ancora pochi in Italia: tra i Comuni che li hanno sperimentati più a lungo c’è Venezia. Regioni come Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio hanno 10-20 presidi mobili. «Così in una città come Torino si riesce a presidiare un locale a settimana — calcola Camoletto —. Ne servirebbe uno per ogni zona del divertimento».
Elena Tebano


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