Monica Mag­gioni, l’onda lunga del Nazareno

by redazione | 6 Agosto 2015 10:33

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Non è la tro­vata a effetto pro­fe­tiz­zata dal pre­mier nella notte, in volo dal Giap­pone. La pre­si­dente della Rai scelta dagli ex soci del Naza­reno è uno dei primi nomi cir­co­lati: Monica Mag­gioni, diret­trice di Rainews24, pro­ve­nienza cen­tro­si­ni­stra ma non ren­ziana doc, suf­fi­cien­te­mente impar­ziale da risul­tare gra­dita anche a Sil­vio Berlusconi.

Renzi avrebbe mag­gior­mente gra­dito qual­cuna di pro­ve­nienza Con­fin­du­stria e fino all’ultimo ha spe­rato che palazzo Gra­zioli rive­desse il veto con­tro Anto­nella Mansi. Ma nel com­plesso la scelta lo sod­di­sfa in pieno.

Mau­ri­zio Gasparri, in mat­ti­nata, aveva messo in campo un nome dav­vero eccen­trico: Cate­rina Caselli, super­star degli anni ’60, poi affer­mata pro­dut­trice disco­gra­fica e tutt’altro che digiuna di pic­colo schermo. Ma qui è stato Renzi a sbar­rare la strada per pro­porre poi il nome che sapeva desti­nato a chiu­dere i gio­chi.
Così è stato. La pre­si­dente mette d’accordo la mag­gio­ranza e la mino­ranza Pd («Buona scelta: la votiamo»), Area popo­lare e Fi («Donna capace e cer­ta­mente ade­guata», sen­ten­zia Gasparri, regi­sta di una par­tita da cui il par­tito azzurro esce a testa altis­sima). Con­tra­ria la sini­stra, Sel ed ex Pd, che con una dichia­ra­zione con­giunta Civati-Cofferati-Fassina-Fratoianni-Scotto boc­cia in toto «un cda pale­se­mente ina­de­guato per pro­fes­sio­na­lità e indi­pen­denza». Pol­lice verso anche dall’M5S: «No alla Mag­gioni. Non può garan­tire indi­pen­denza e lon­ta­nanza dai con­flitti di inte­ressa», twitta defi­ni­tivo Carlo Sibi­lia a nome di tutti i pen­ta­stel­lati. Con la pre­si­dente arriva anche l’ultimo con­si­gliere d’amministrazione, quello scelto dal mini­stero dell’Economia: Carlo For­tis, uomo Montedison-Ferruzzi per pro­ve­nienza e formazione.

Renzi è con­ten­tone, e in con­fe­renza stampa non lo nasconde. Arro­gante come sem­pre va all’attacco: «Sono state nomi­nate per­sone con pro­fes­sio­na­lità e com­pe­tenza. Mica astro­fi­sici o giro­ton­dini». Nes­sun pro­blema nep­pure per la grana dei con­si­glieri pen­sio­nati (Dia­co­nale, Guelfi, Frec­cero e Maz­zuca), che a norma di legge Madia non pos­sono pren­dere com­pensi e dovreb­bero restare in carica solo un anno: «Si discute solo del diritto ad avere uno sti­pendo. Per la Rai spero di no, per loro di sì, ma non è un pro­blema». In realtà i tec­nici del pre­mier, Cec­canti in testa, hanno già ini­ziato a far cir­co­lare dotte inter­pre­ta­zioni della Madia, in base alle quali il limite di un anno sarebbe ine­si­stente.
In realtà la discus­sione sui limiti di per­ma­nenza con­cessi dalla legge è solo uno degli ele­menti che fanno di que­sto cda una spe­cie di ela­stico: potrebbe durare tre anni, ma anche solo sei mesi. Dipen­derà dalla sorte della riforma Rai, che molti vati­ci­nano (pro­ba­bil­mente a torto) desti­nata e restare a lungo su un bina­rio morto a Mon­te­ci­to­rio. Dipen­derà anche, in caso di appro­va­zione della riforma, dal parere dei giu­dici costi­tu­zio­nali. La legge pre­vede che i ver­tici nomi­nati ieri assu­mano tutti i poteri pre­vi­sti dalle nuove norme senza pas­sare per ulte­riori nomine: par­ti­co­lare fon­da­men­tale nel caso del futuro dg Campo Dall’Orto, l’uomo di Renzi che dovrebbe diven­tare a breve ammi­ni­stra­tore dele­gato con tutti i super-poteri del caso.
Come sem­pre nella poli­tica ita­liana, la par­tita che si è gio­cata negli ultimi giorni somma ele­menti distinti: il merito (cioè in que­sto caso la spar­ti­zione bruta) e gli equi­li­bri com­ples­sivi. Impos­si­bile equi­vo­care sugli scon­fitti: la mino­ranza Pd esce dalla vicenda basto­na­tis­sima, e prova a recu­pe­rare pro­po­nendo con Gotor una sorta di Renzi-bis, con nuovi mini­stri e una nuova poli­tica messa a punto dall’intero par­tito e non solo dalla mag­gio­ranza. Ma la pro­po­sta è goffa, suona come richie­sta di cadre­ghe, e lo stesso Gotor è costretto a ridi­men­sio­nare. In tutta evi­denza, dopo essere arri­vata a un passo dalla frat­tura insa­na­bile, la mino­ranza Pd si è spa­ven­tata, ha evi­tato di for­zare, come avrebbe potuto, per nomi­nare un suo con­si­gliere senza biso­gno dei voti del grosso dei dem, e ora cerca di rien­trare in gioco, anche dal punto di vista media­tico, con una offerta di dia­logo che dovrebbe scrol­larle di dosso l’immagine di disfat­ti­sti e sabo­ta­tori con­trab­ban­data con suc­cesso da Renzi & Orfini nelle ultime settimane.

Vin­ci­tore asso­luto è invece Ber­lu­sconi: ha piaz­zato ben due con­si­glieri, par­te­ci­pato a pari merito alla defi­ni­zione della pre­si­dente, sgo­mi­nato le pat­tu­glie fuo­ru­scite dal par­tito azzurro, tanto i fit­tiani quanto i ver­di­niani, non lascian­do­gli gio­care nes­suna parte di rilievo dal primo all’ultimo momento. Ma soprat­tutto ha par­zial­mente sanato la ferita lamen­tata dopo l’imposizione di Mat­ta­rella sul Colle. Da domani lui e Renzi potranno tor­nare a dia­lo­gare: senza patti a tutto campo, sem­pre su sin­goli punti. Ma non più nel clima di sfi­du­cia e dif­fi­denza totali degli ultimi mesi.

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