Monica Maggioni, l’onda lunga del Nazareno
Non è la trovata a effetto profetizzata dal premier nella notte, in volo dal Giappone. La presidente della Rai scelta dagli ex soci del Nazareno è uno dei primi nomi circolati: Monica Maggioni, direttrice di Rainews24, provenienza centrosinistra ma non renziana doc, sufficientemente imparziale da risultare gradita anche a Silvio Berlusconi.
Renzi avrebbe maggiormente gradito qualcuna di provenienza Confindustria e fino all’ultimo ha sperato che palazzo Grazioli rivedesse il veto contro Antonella Mansi. Ma nel complesso la scelta lo soddisfa in pieno.
Maurizio Gasparri, in mattinata, aveva messo in campo un nome davvero eccentrico: Caterina Caselli, superstar degli anni ’60, poi affermata produttrice discografica e tutt’altro che digiuna di piccolo schermo. Ma qui è stato Renzi a sbarrare la strada per proporre poi il nome che sapeva destinato a chiudere i giochi.
Così è stato. La presidente mette d’accordo la maggioranza e la minoranza Pd («Buona scelta: la votiamo»), Area popolare e Fi («Donna capace e certamente adeguata», sentenzia Gasparri, regista di una partita da cui il partito azzurro esce a testa altissima). Contraria la sinistra, Sel ed ex Pd, che con una dichiarazione congiunta Civati-Cofferati-Fassina-Fratoianni-Scotto boccia in toto «un cda palesemente inadeguato per professionalità e indipendenza». Pollice verso anche dall’M5S: «No alla Maggioni. Non può garantire indipendenza e lontananza dai conflitti di interessa», twitta definitivo Carlo Sibilia a nome di tutti i pentastellati. Con la presidente arriva anche l’ultimo consigliere d’amministrazione, quello scelto dal ministero dell’Economia: Carlo Fortis, uomo Montedison-Ferruzzi per provenienza e formazione.
Renzi è contentone, e in conferenza stampa non lo nasconde. Arrogante come sempre va all’attacco: «Sono state nominate persone con professionalità e competenza. Mica astrofisici o girotondini». Nessun problema neppure per la grana dei consiglieri pensionati (Diaconale, Guelfi, Freccero e Mazzuca), che a norma di legge Madia non possono prendere compensi e dovrebbero restare in carica solo un anno: «Si discute solo del diritto ad avere uno stipendo. Per la Rai spero di no, per loro di sì, ma non è un problema». In realtà i tecnici del premier, Ceccanti in testa, hanno già iniziato a far circolare dotte interpretazioni della Madia, in base alle quali il limite di un anno sarebbe inesistente.
In realtà la discussione sui limiti di permanenza concessi dalla legge è solo uno degli elementi che fanno di questo cda una specie di elastico: potrebbe durare tre anni, ma anche solo sei mesi. Dipenderà dalla sorte della riforma Rai, che molti vaticinano (probabilmente a torto) destinata e restare a lungo su un binario morto a Montecitorio. Dipenderà anche, in caso di approvazione della riforma, dal parere dei giudici costituzionali. La legge prevede che i vertici nominati ieri assumano tutti i poteri previsti dalle nuove norme senza passare per ulteriori nomine: particolare fondamentale nel caso del futuro dg Campo Dall’Orto, l’uomo di Renzi che dovrebbe diventare a breve amministratore delegato con tutti i super-poteri del caso.
Come sempre nella politica italiana, la partita che si è giocata negli ultimi giorni somma elementi distinti: il merito (cioè in questo caso la spartizione bruta) e gli equilibri complessivi. Impossibile equivocare sugli sconfitti: la minoranza Pd esce dalla vicenda bastonatissima, e prova a recuperare proponendo con Gotor una sorta di Renzi-bis, con nuovi ministri e una nuova politica messa a punto dall’intero partito e non solo dalla maggioranza. Ma la proposta è goffa, suona come richiesta di cadreghe, e lo stesso Gotor è costretto a ridimensionare. In tutta evidenza, dopo essere arrivata a un passo dalla frattura insanabile, la minoranza Pd si è spaventata, ha evitato di forzare, come avrebbe potuto, per nominare un suo consigliere senza bisogno dei voti del grosso dei dem, e ora cerca di rientrare in gioco, anche dal punto di vista mediatico, con una offerta di dialogo che dovrebbe scrollarle di dosso l’immagine di disfattisti e sabotatori contrabbandata con successo da Renzi & Orfini nelle ultime settimane.
Vincitore assoluto è invece Berlusconi: ha piazzato ben due consiglieri, partecipato a pari merito alla definizione della presidente, sgominato le pattuglie fuoruscite dal partito azzurro, tanto i fittiani quanto i verdiniani, non lasciandogli giocare nessuna parte di rilievo dal primo all’ultimo momento. Ma soprattutto ha parzialmente sanato la ferita lamentata dopo l’imposizione di Mattarella sul Colle. Da domani lui e Renzi potranno tornare a dialogare: senza patti a tutto campo, sempre su singoli punti. Ma non più nel clima di sfiducia e diffidenza totali degli ultimi mesi.
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