Migranti, altra strage in mare. “In Libia centinaia di annegati”

by redazione | 6 Agosto 2015 8:47

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SULLA Dignity one, Mohammed, palestinese, piange e stringe forte al petto il suo bambino. «Ha appena un anno, era in braccio a mia moglie quando la barca si è capovolta e siamo finiti tutti in mare. Non so come ho fatto a trovarlo in mezzo a tutta quella gente che si agitava cercando di aggrapparsi ai rottami. Ma l’ho visto subito e ce l’ho fatta. L’ho salvato, ci siamo salvati tutti», dice mentre con l’altra mano tiene sua moglie ancora sotto shock. Alah, siriana, vent’anni, al quinto mese di gravidanza, trema come una foglia e si tiene la pancia. Ce l’ha fatta anche lei, tirata fuori dall’acqua da suo marito, un altro dei tanti Mohammed saliti nella notte tra martedi e mercoledi sulla spiaggia di Al Zwara in Libia a bordo della “grande nave” su cui i trafficanti di uomini avrebbero ammassato fino a settecento persone.
Alah è sotto shock ma sta bene. E mentre sul lettino della sala visite della Dignity one si sottopone ai controlli dei sanitari del pool di “Medici senza frontiere” che cercano di rassicurarla sulla sorte del bimbo che porta in grembo, racconta: «A bordo c’erano tante famiglie con bambini, tante famiglie siriane scappati dalla guerra e dalla distruzione come abbiamo fatto io e Mohammed per cercare di far nascere il nostro bambino in un posto sicuro. Ho visto tanti bimbi anche piccolissimi finire in mare, spero che i genitori siano riusciti a tenerli stretti, speriamo che li abbiano salvati. Per fortuna i soccorritori con i gommoni sono arrivati subito». A bordo della nave di Medici senza frontiere ci sono solo le persone bisognose di cure immediate, la più parte dei profughi tirati fuori dall’acqua a tempo record sono sulla nave irlandese “Le Niamh”, la prima ad arrivare sul luogo della tragedia. I migranti salvati, 399, sono quasi tutti in buone condizioni. La storia che raccontano viene ritenuta attendibile ed è sulla base delle loro testimonianze che si stima in almeno 200 il numero dei dispersi, probabilmente rimasti imprigionati nella stiva della grande nave in ferro che si è inabissata in pochi minuti subito dopo essersi ribaltata in seguito allo spostamento del carico sul lato.
«Ci siamo fermati dopo alcune ore di navigazione — racconta uno dei sopravvissuti — perché l’acqua ha invaso la sala macchine e i motori si sono fermati. C’era qualcuno che aveva un telefono satellitare a bordo e verso le dieci di mattina hanno chiamato i soccorsi. Per fortuna il mare era calmo e il tempo era buono. Sapevamo che i soccorsi sarebbero arrivati presto e non c’era grande panico a bordo anche se le persone che erano giù, in stiva, sentendo che eravamo fermi e non sapendo cosa stava succedendo avevano paura e gridavano perché avevano paura di rimanere sotto. Nei ponti più in alto avevano fatto mettere le famiglie con i bambini che avevano pagato di più e le donne incinta. Sotto c’erano tanti ragazzi, senza salvagente, che avevano fatto salire per primi».
Quando, poco dopo mezzogiorno, la sagoma della nave irlandese “Le Niham” è apparsa agli occhi delle centinaia di migranti in attesa, a bordo in tanti hanno cominciato ad agitarsi mettendo a rischio la già precaria stabilità della grande imbarcazione in ferro che, con il vano motori pieno di acqua, aveva visto abbassarsi pericolosamente la linea di galleggiamento. E, al solito, appena i soccorritori, che stavano giungendo a bordo di due gommoni calati in acqua dalla nave irlandese, stavano per raggiungere il peschereccio, si è scatenato l’inferno a bordo.
«Tutti volevano andare dal lato più vicino ai soccorsi, soprattutto chi non aveva i giubbotti di salvataggio. Poi è stato un attimo e la barca si è messa di lato e si è capovolta, siamo finiti tutti in acqua, ognuno si aggrappava a quello che aveva accanto. Vivi, morti, salvagenti, pezzi di legno, qualsiasi cosa».
Una scena “apocalittica” quella descritta a Loris De Filippi, presidente di Medici senza frontiere. «Uno spettacolo orribile, centinaia di persone disperatamente aggrappati a qualsiasi cosa potesse salvare la loro vita in mezzo a quelli che erano già morti ». E poi lo sfogo polemico di Juan Matias, il coordianatore del pool di Msf, reduce da un precedente salvataggio di un gommone. «Il fatto che noi siamo stati chiamati ad assistere una barca dietro l’altra mette in evidenza la grave mancanza di risorse disponibili per le operazioni di soccorso ».
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