by redazione | 18 Agosto 2015 9:33
Sull’emergenza immigrazione la chiesa torna ancora una volta all’attacco ma questa volta nel mirino non finiscono i «politici piazzisti» o il governo Renzi, ma direttamente l’Onu. A portare l’affondo è monsignor Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana che si chiede se le Nazioni unite si stiano muovendo nel modo gusto per fronteggiare la crisi, «Mi chiedo — ha detto il cardinale — se questi organismi internazionali come l’Onu in modo particolare che raccoglie il potere politico ma anche il potere finanziario, hanno mai affrontato in modo serio e deciso questa tragedia umana». Parole che raccolgono l’adesione del governatore della Lombardia Roberto Maroni.
Bagnasco parla nel corso di una visita al seminario arcivescovile che si trova sulle alture di Genova e dove su richiesta della prefettura vengono ospitati 50 profughi provenienti da Nigeria, Senegal, Afghanistan e Bangladesh. «Quando vediamo centinaia, migliaia di persone, esseri umani, di donne, uomini e bambini che affrontano i viaggi della morte per arrivare in Paesi lontani dai propri per motivi che ben sappiamo — dice — non possiamo non concludere che questo problema è un’emergenza veramente umanitaria, una tragedia dell’uomo».
Una crisi umanitaria che ogni anno coinvolge nel mondo quasi 60 milioni di persone in fuga dalle proprie case. E forse è proprio pensando a loro che Bagnasco usa parole dure nei confronti delle Nazioni unite alle quali si appella per un intervento più incisivo.
In realtà tra gli organismi internazionali l’Onu è tutt’altro che insensibile al problema dei profughi, al punto che attraverso le sue agenzie, Unhcr e Unicef, non c’è settore di crisi in cui non interviene direttamente: in Medio oriente come in Africa e in Asia, allestendo campi e assistendo i profughi con cibo e vestiti. Ma anche intervenendo e facendo pressione su governi.
Nei mesi scorsi, ad esempio, quando in Europa infuriavano le polemiche su come agire per mettere fine alle tragedie del Mediterraneo e sulla divisione tra gli Stati membri di poche decine di migliaia di profughi, dal palazzo di vetro sono partite sollecitazioni all’Unione europea perché mettesse da parte egoismi e interessi locali. Sollecitazioni che, come si è visto, sono rimaste inascoltate.
Al punto che l’Unione europea ancora stenta a farsi carico del problema. Tra pochi giorni, i primi di settembre, a Bruxelles i capi di Stato e di governo si vedranno per mettere a punto i meccanismi di divisione di circa 35mila profughi arrivati in Italia e Grecia, ma nonostante le continue tragedie del mare e le immagini degli ingenti sbarchi che arrivano dalle isole greche, a oggi sembra davvero difficile che sia è possibile superare le divisioni viste finora. «Il tema dell’immigrazione è ed è stato una priorità per il presidente Juncker», ha detto ieri con ottimismo una portavoce della commissione, che ha ricordato come lo stesso Juncker sia stato «incoraggiato» da una telefonata ricevuta giovedì scorso dalla cancelliera Merkel. «Italia e Grecia non resteranno sole» ha invece promesso di nuovo il commissario Ue all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos appena tornato dalla Grecia.
Lecito dubitare che a settembre vedremo una Ue più solidale rispetto al passato, anche perché le elezioni sono imminenti in Spagna e Polonia e le forze populiste soffiano sull’immigrazione per raccogliere voti. Intanto — ed è già qualcosa — arrivano soldi per l’accoglienza: 7 miliardi di euro fino al 2020, dei quali 558 milioni sono destinati all’Italia e 474 alla Grecia. Serviranno a alloggiare e identificare i migranti, a valutare la loro posizione di richiedenti asilo e, in caso di respingimento, il loro eventuale rimpatrio.
Nella consapevolezza, ormai unanime, che quella legata all’immigrazione potrebbe diventare la questione più importante con cui l’Europa dovrà fare i conti molto presto: «Una sfida più grande del debito greco», ha avvertito domenica scorsa la Merkel. Un concetto ribadito ieri anche dal Wall street journal, secondo il quale sarebbe a rischio l’integrazione europea. «C’è bisogno di un approccio su più fronti, incluse misure che creino fiducia nel processo di asilo nei Paesi dove i migranti arrivano in cambio di un fermo impegno europeo a ricollocare i migranti fra i vari paesi europei. Una soluzione come questa appare lontana», afferma il Wsj. La conseguenza è che la crisi «sta già avvelenando la politica in Europa, alimentando l’ascesa del nazionalismo e dei partiti di destra». Un processo che –dice il Wsj — finirà con l’erodere l’integrazione europea».
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