L’orizzonte europeo è la vera sfida della sinistra

L’orizzonte europeo è la vera sfida della sinistra

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Nelle ultime set­ti­mane, la que­stione greca ha avuto svi­luppi impor­tanti non solo per le con­di­zioni imme­diate e il futuro di quel paese ma, soprat­tutto, per le pro­spet­tive della costru­zione euro­pea. Per la rile­vanza sto­rica di que­sto pro­cesso, gli effetti sul suo esito costi­tui­scono un rife­ri­mento obbli­gato per valu­tare le posi­zioni delle forze che chia­miamo di sini­stra, sia quelle già strut­tu­rate sia quelle in tras-formazione, anche in Ita­lia, come sol­le­cita l’apertura di dibat­tito di Norma Ran­geri sul mani­fe­sto.

Nelle trat­ta­tive con la Troika (o come la si vuol chia­mare), l’improvvisa deci­sione di indire il refe­ren­dum e la suc­ces­siva vit­to­ria del No sem­bra­vano poter raf­for­zare le posi­zioni del governo elle­nico e – più ancora — favo­rire una riqua­li­fi­ca­zione posi­tiva del pro­getto uni­ta­rio euro­peo; invece, gli eventi suc­ces­sivi hanno smen­tito quelle speranze.

Rica­pi­to­lia­moli schematicamente.

  1. Il governo tede­sco si è irri­tato accen­tuando la logica miope dei rap­porti di forza (un’attitudine sto­rica dagli effetti tra­gici che, peral­tro, si è sem­pre rive­lata per­dente): pur subor­di­nando da sem­pre la vali­dità delle deci­sioni comu­ni­ta­rie al parere della sua Corte costi­tu­zio­nale, il governo tede­sco si è indi­spet­tito per­ché quello greco ha chie­sto con­ferma della pro­pria posi­zione al suo popolo; intanto, la Ger­ma­nia si ostina a con­di­zio­nare la ripresa euro­pea (soprat­tutto quella degli altri paesi) al vin­colo del 3% per il rap­porto deficit/Pil, ma il suo avanzo com­mer­ciale supera da 13 anni il limite con­cor­dato nel Six Pack del 6%, aumen­tando gli squi­li­bri e pena­liz­zando la cre­scita di tutta l’Unione.
  2. Gli altri paesi dell’Euro zona hanno seguito con col­pe­vole acquie­scenza la posi­zione tede­sca facendo venire alla mente (con tutte le dif­fe­renze), lo spi­rito dell’accordo di Monaco nel 1938.
  3. Il governo greco, ine­vi­ta­bil­mente con­di­zio­nato da que­sti com­por­ta­menti, ha mutato il suo atteg­gia­mento nego­ziale, ma il risul­tato finale è stato un accordo peg­giore (oggi per la Gre­cia, in pro­spet­tiva per la costru­zione euro­pea) di quello rifiu­tato dagli elet­tori greci.

Quest’evoluzione della que­stione greca ha raf­for­zato due delle pos­si­bi­lità pro­spet­tate ai paesi «periferici»:

a) con­ti­nuare ad assecondare/subire la «via tede­sca» all’Unione euro­pea e comun­que pren­dere atto dei rap­porti di forza che la sosten­gono;
b) uscire dalla Zona euro.

In Ita­lia, la prima posi­zione è pro­pria del Governo (anche di quelli pre­ce­denti) e del suo par­tito di mag­gio­ranza. La seconda posi­zione trova da sem­pre sup­porto nelle tra­di­zio­nali opi­nioni anti­eu­ro­pei­sti­che di tipo nazionalistico/localistico/populistico; ma va tro­vando con­sensi pure tra chi ritiene che far parte della zona euro sarebbe diven­tato irri­me­dia­bil­mente lesivo degli inte­ressi dei lavo­ra­tori e della demo­cra­zia, cioè incom­pa­ti­bile con i valori e i pro­grammi della sinistra.

Nella seconda posi­zione si deli­nea dun­que una con­ver­genza di moti­va­zioni per uscire dall’euro che, tut­ta­via, per la sini­stra è un abbrac­cio mor­tale per­ché le fa per­dere la sua qua­li­fi­cante con­no­ta­zione di forza pro­gres­siva, in grado cioè di coniu­gare sul piano stra­te­gico valori tipi­ca­mente pro­pri — come quelli del lavoro, dell’eguaglianza, dei diritti, degli equi­li­bri ambien­tali e della demo­cra­zia — con inte­ressi gene­rali quale la cre­scita economica.

In tutta la sini­stra e tra le forze di pro­gresso occor­re­rebbe tener pre­sente che:

1) La glo­ba­liz­za­zione dei mer­cati ha reso molto più neces­sa­ria anche eco­no­mi­ca­mente l’Unione euro­pea. Una isti­tu­zione e un sistema eco­no­mico di taglia con­ti­nen­tale con­sen­tono mar­gini di auto­no­mia e pos­si­bi­lità di suc­cesso mag­giori per le scelte poli­ti­che, eco­no­mi­che, sociali e ambien­tali col­let­ti­va­mente con­di­vise; ciò vale spe­cial­mente per le poli­ti­che pro­gres­si­ste avver­sate da inte­ressi ristretti ma forti, radi­cati nei mer­cati e nelle loro cor­renti spe­cu­la­tive. Nell’Unione euro­pea pos­sono anche pre­va­lere, come sta avve­nendo, posi­zioni lesive del lavoro, dell’equità, della demo­cra­zia e gene­ral­mente regres­sive, ma que­sto è uno degli esiti sem­pre pos­si­bile nel con­fronto sociale e poli­tico. Il punto è che in cia­scun sin­golo paese euro­peo, i mag­giori vin­coli eco­no­mici e poli­tici deri­vanti dalle sue ridotte dimen­sioni osta­co­lano mag­gior­mente o addi­rit­tura pre­clu­dono scelte pro­gres­si­ste diso­mo­ge­nee a quelle che potreb­bero essere impo­ste dai grandi paesi e dai mer­cati inter­na­zio­nali. L’ambito euro­peo è poten­zial­mente più favo­re­vole alla rea­liz­za­zione degli obiet­tivi della sinistra.

2) Natu­ral­mente sus­si­stono mar­gini di libertà nazio­nali e locali, ma sono sem­pre più ridotti. In ogni caso, per quanto riguarda il nostro paese, chi pensa di potersi libe­rare dalle poli­ti­che libe­ri­ste uscendo dall’euro, dovrebbe anche riflet­tere sul fatto che men­tre nella seconda metà del Nove­cento era­vamo con­si­de­rati ano­mali per la pre­senza del più grande par­tito comu­ni­sta dell’area occi­den­tale, adesso lo siamo per la più ridotta rap­pre­sen­tanza poli­tica della sinistra.

Biso­gna evi­tare di cadere in una logica «difen­siva» che può spin­gere fino a loca­li­smi di tipo vel­lei­ta­rio (nel mese di giu­gno del 1940, il sin­daco di un comune dei Castelli romani con­vocò i cit­ta­dini in piazza per infor­marli che l’Italia era entrata in guerra e poi chiese loro: «Noi che vogliamo fare?»).

3) Oggi non è più in discus­sione se pro­ce­dere alla crea­zione della moneta unica e dell’Unione euro­pea (con le moda­lità sba­gliate ampia­mente pre­vi­ste), ma se sia con­ve­niente tor­nare alla valuta nazio­nale (e uscire dall’Ue) e se sia pos­si­bile farlo almeno in modo ordi­nato. E’ lecito imma­gi­nare che la rot­tura anche solo par­ziale della zona euro – con i suoi riflessi nega­tivi sull’Unione — non avver­rebbe senza traumi (non solo eco­no­mici) dato che per evi­tarli occor­re­rebbe più coo­pe­ra­zione di quella che finora è man­cata per rag­giun­gere una unione capace di miglio­rare le con­di­zioni dei cit­ta­dini di cia­scun paese.

La Sini­stra ha il com­pito di “sma­sche­rare” sia la con­trad­di­zione dell’europeismo ini­quo, anti­de­mo­cra­tico e con­tro­pro­du­cente soste­nuto dai par­titi con­ser­va­tori, sia il peri­co­loso regresso sto­rico che sarebbe inne­scato da una ini­ziale incri­na­tura dell’euro e ali­men­tato poi dal ritorno ai nazionalismi.

Impe­gnarsi in que­sta dire­zione non è un vezzo auto­re­fe­ren­ziale ma un dovere pri­ma­rio e qua­li­fi­cante per una forza poli­tica progressista.



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