LA FREDDEZZA DEL NORD
Il giro di chiamate con i leader europei e con Angela Merkel ha già chiarito a Tsipras che aria tira tra i partner: Parigi e la Commissione Ue, Jean Claude Juncker in particolare, sono i grandi sponsor dell’accordo e saranno al suo fianco per mandarlo in porto in tempi stretti e sbloccare gli aiuti necessari a evitare il default e – se possibile – a togliere i controlli ai capitali. Al Nord (e a est) è un’altra storia: la Germania, è chiaro a tutti, non si fida delle promesse di Atene e vorrebbe rimandare la firma dopo che il Parlamento ellenico avrà votato un’altra serie di riforme vincolanti. «Servono approfondimenti che richiedono tempo», avrebbe detto Merkel a Tsipras. «Definire intesa quella raggiunta oggi è una parola grossa», ha dato man forte a Berlino il primo ministro di Helsinki Alexandre Stubb. La resistenza dei falchi, per assurdo, fa gioco a Tsipras. Convinto che si tratti solo di irrigidimenti tattici ad uso domestico, buoni comunque per rendergli (forse) più facile l’approvazione del compromesso al Parlamento di Atene.
IL REBUS DEL GOVERNO
Il suo problema più serio è invece da oggi proprio il fronte interno. Il passaggio in aula dell’intesa, salvo sorprese improbabili, è la solita formalità: un bel numero di dissidenti di Syriza voterà contro, ma i “sì” dell’opposizione europeista saranno più che sufficienti al via liberafinale. Incassati gli aiuti, però, Atene entrerà – politicamente parlando – in terra incognita. Né il premier né l’opposizione hanno intenzione, almeno a parole, di allungare oltre l’esperimento “forzoso” di unità nazionale. La maggioranza però è implosa dal giorno in cui Tsipras ha dettò sì al nuovo memorandum. E la certificazione della rottura è stata solo rimandata al Congresso straordinario di Syriza di settembre, quando l’opposizione interna della Piattaforma di Sinistra – forte di una trentina di voti in aula e contraria al compromesso con l’ex Troika – potrebbe andare alla scissione.
Lo sbocco inevitabile per fare chiarezza, dice il tam tam sotto il Partenone, sono le elezioni anticipate. Il problema è quando. Il presidente del Consiglio, in teoria, potrebbe decidere di convocarle un secondo dopo lo sblocco degli aiuti, per evitare che gli elettori sentano sulla loro pelle il peso delle nuove misure d’austerity come le tasse per gli agricoltori e gli imponenti aumenti fiscali previsti a fine anno.
IL JOLLY DEL DEBITO
I ribelli temono il voto immediato e da settimane hanno avviato iniziative sul territorio per marcare le loro differenze e non farsi trovare impreparati. Gettando le basi per un nuovo soggetto politico che – spera qualcuno – potrebbe trovare Yanis Varoufakis tra i suoi promotori. L’ipotesi più probabile però, ha ripetuto in queste ore Tsipras ai suoi fedelissimi, è un’altra: prendere tempo, iniziare a implementare le riforme ( sempre con i voti dell’opposizione) fino a ottobre per dare un segno di buona volontà all’ex Troika. E riuscire ad aprire il tavolo per la ristrutturazione del debito greco. Poi, forte di questa dimostrazione di responsabilità e dell’avvio dei negoziati per ridurre l’esposizione, presentarsi agli elettori chiedendo un mandato pieno per portare la Grecia fuori dalla crisi. Un azzardo, ovvio. Ma se gli indicatori economici inizieranno a migliorare potrebbe rivelarsi vincente. Nel dubbio, il premier è entrato da subito in campagna elettorale. Subito dopo il via libera all’intesa con i creditori, il Parlamento approverà una nuova legge anti-casta per ridurre del 15-20% gli stipendi dei parlamentari e degli avvocati, togliendo le agevolazioni fiscali di cui godono. Un segno in più, dicono gli esperti, che il voto è dietro l’angolo.