La sfida di Hollande il guerriero francese che è rimasto senza la Francia

by redazione | 3 Agosto 2015 17:27

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PARIGI. SENZA UN “ribasso credibile” della disoccupazione entro l’anno prossimo François Hollande non si proporrà nel 2017 per un secondo mandato. Se ne andrà sconfitto. È una sfida pubblica che assomiglia a una scommessa. Angela Merkel può invece già puntare, con naturale superbia, su un quarto cancellierato. Il Reno divide due realtà diverse. Sulla sponda francese per ora il numero stagna sulle due cifre, 10%, ed è oggetto di numerose contestazioni. Secondo l’opposizione senza i calcoli amichevoli la massa dei disoccupati sarebbe più cospicua.
L’annuncio delle imminenti dimissioni del ministro del lavoro, François Rebsamen, assomigliano a un primo sacrificio propiziatorio, visto che alla vittima, nonostante sia un fedelissimo del presidente, viene rimproverato, senza dirlo, di non avere ottenuto i risultati indispensabili a Hollande, stando a quel che afferma egli stesso, per tentare la riconquista della massima carica dello Stato. Il rispettabilissimo Rebseman lascia per sua volontà il dicastero. Vuole ridiventare sindaco di Digione, ma sullo sfondo, ben visibile, resta la missione fallita. Non tanto per la fiacchezza della sua azione quanto a causa della crisi che appesantisce il dramma dei senza lavoro. Dramma tanto importante da porre per la prima volta nella Quinta Repubblica il problema della ricandidatura del presidente in carica. Tutti i predecessori di François Hollande, ad eccezione di Georges Pompidou (1969-1974) morto per malattia durante il primo mandato, hanno tentato non sempre con successo di essere rieletti. Charles de Gaulle (1958-1969) dette le dimissioni, quando era già stato riconfermato da quattro anni come presidente, in seguito a un referendum perso (sulla riforma del Senato), che non lo riguardava direttamente.
Hollande è un caso a parte. L’oscillante 19% dei consensi che l’accompagna è il quoziente più basso raccolto dai presidenti della Quinta Repubblica al terzo anno del primo mandato. Eletto con il clamoroso annuncio di un 75% di tasse da imporre ai più alti redditi (annuncio subito disinnescato come atteso dal Consiglio costituzionale) e con la promessa di creare posti di lavoro, vale a dire con il piglio di un deciso presidente di sinistra, Hollande si è rivelato un attivissimo presidente dedito alla politica estera. Sia come promotore di iniziative militari sia come animatore di azioni diplomatiche. Né il suo passato di primo segretario del partito socialista, un ruolo sedentario, né quello di presidente del consiglio provinciale della Corrèze rurale, meno ancora il carattere dimostrato come insegnante di economia, lasciavano pensare al sesto capo della Quinta Repubblica come a un appassionato di politica internazionale, capace di tenere in quel campo la Francia in prima linea. Proprio come voleva de Gaulle.
Ma Hollande, nonostante l’attivismo, e i non rari successi, raccoglie soltanto indifferenza tra i concittadini. Non suscita grande interesse. Non sprigiona autorità. Né orgoglio. Ricorda l’ Economist , non senza perfidia, che dove un leader tedesco, come Schaeuble, il ministro delle Finanze, riceve il 70% e più di consensi quando sostiene la Grexit, Hollande non arriva al 20 quando sostiene il contrario, anche se l’idea usufruisce di un ben più alto sostegno nell’opinione pubblica francese.
Se si ripercorre, sia pure velocemente, l’attività internazionale di François Hollande si resta colpiti dal dinamismo. E dall’indifferenza che lo avvolge come una nebbia. Negli ultimi giorni, mentre i francesi andavano in vacanza, lui si è dedicato alla conferenza sul clima in programma per dicembre a Parigi. Una riunione planetaria con grandi e giuste ambizioni. Sempre in luglio il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, ha seguito la conclusione dei negoziati sul nucleare iraniano a Vienna imponendo misure severe di controllo e di ritorsione, ad esempio l’automatica riattivazione delle sanzioni contro Teheran nel caso gli accordi non fossero rispettati. L’atteggiamento intransigente francese al tavolo dei negoziati ha dato un importante contributo alla formulazione del documento finale, adesso allo studio del Congresso americano, e al tempo stesso ha favorito la Francia nei negoziati in corso nei paesi sunniti, quali l’Arabia Saudita, il Qatar e in generale i Paesi del Golfo, irritati dal dialogo tra gli Stati Uniti e l’avversario sciita iraniano. Gli aerei Rafale, made in France , hanno trovato acquirenti ben disposti tra gli amici delusi di Barack Obama. I soli jet costruiti da Dassault e ordinati dal Qatar valgono sette miliardi di dollari. Queste vendite non dovrebbero complicare troppo i rapporti commerciali con Teheran, dove Laurent Fabius ha già compiuto una visita politica senza perdere tempo.
Sempre in luglio Hollande era in Angola, e in maggio era a Cuba, appena perfezionata l’intesa tra Washington e l’Avana. Non ha perso tempo. Ma la Grecia ha impegnato soprattutto negli ultimi tempi i diplomatici parigini ed anche gli esperti del ministero delle Finanze accorsi ad Atene per aiutare i colleghi greci. Nella lunga crisi europea Hollande ha svolto un ruolo di grande rilievo con Angela Merkel. La quale non era sempre in sintonia con i falchi tedeschi ed era pronta a utilizzare la posizione francese solidale con Alexis Tsipras. In una precedente stagione, a Minsk, durante i negoziati sull’Ucraina, Hollande si era mosso all’ombra della cancelliera. Ma era pur sempre presente a un appuntamento di grande rilievo non solo per l’Europa, eppure non è riuscito a dissipare l’indifferenza sulla sua persona in patria. Soltanto l’intelligente e audace reazione all’attentato terrorista contro Charlie Hebdo ha aumentato per qualche giorno i consensi. Ma poi è ritornata l’indifferenza. Non hanno suscitato il meritato interesse neppure le spedizioni in Mali e nella Repubblica centrafricana contro jihadisti che minacciavano e minacciano quelle ex colonie diventate alleati. Né ha particolarmente interessato la disponibilità di Hollande a punire la Siria di Bashar el Assad che aveva usato gas tossici contro i ribelli. Soltanto la rinuncia di Barack Obama ha fermato navi e aerei francesi. È come se François Hollande non riuscisse a smuovere i sentimenti dei suoi connazionali. Né odio né amore. È come se la società fosse sensibile all’essenziale: al lavoro. Che dà, oltre ai mezzi per vivere, anche la dignità. Guerra e diplomazia contano. Sono a volte obbligate o essenziali. Ma Hollande ha capito che se mai ha una possibilità di restare presidente quel che conta è vincere la disoccupazione.
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