La nipote di Tito e il caos a Est: stanno ricostruendo i muri come nei Balcani degli anni 90

by redazione | 31 Agosto 2015 9:23

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BELGRADO «Ci sono Paesi dell’Ue che vivono adesso quel che noi balcanici abbiamo già passato negli anni 90. Il nazionalismo, i muri, la paura di chi c’inquina. L’Ungheria, la Bulgaria si comportano come all’epoca dei ponti levatoi. Proprio loro che hanno sofferto sulla loro pelle l’emigrazione: non negano il diritto d’asilo, negano perfino quello d’attraversamento. Disgustoso».
Nella sua casa d’esule volontaria, da quando voltò le spalle alla Belgrado dei carnefici e andò a vivere nella Bosnia delle vittime, a 60 anni Svetlana Broz non s’è ancora abituata a chi soffre. Ha piantato un suo Giardino dei Giusti, fa da coscienza critica in terre che un esame di coscienza non l’hanno mai fatto. E con un cognome che contava, di suo nonno Tito, fa i conti d’una memoria da rivisitare: «Quand’ero ragazza in Jugoslavia, io mi chiedevo perché non ci fosse libertà. Mi ribellavo a Tito. Aspettavo il cambiamento. Poi il nuovo è arrivato e ho visto che faccia aveva: nazionalisti folli che ci hanno distrutto. Sono ancora qui a combattere chi cancella i diritti più elementari. D’un balcanico come d’un siriano».
Sono tornati anche qui gli echi delle guerre. Con quali rischi?
«Se i profughi resteranno, visto che l’Ungheria non li fa passare, a lungo termine ci saranno problemi seri. Però potrebbe esserci un aspetto positivo: in quest’area ci sono governi che non si parlano da anni, la crisi umanitaria potrebbe costringerli a farlo».
Si ribaltano molti luoghi comuni, i serbi stanno dando un esempio d’accoglienza: mentre Budapest alza i muri, a Belgrado ieri hanno messo wi-fi nei centri profughi…
«La differenza dall’Ungheria o dall’Italia è che Paesi come la Serbia e la Macedonia vogliono entrare nell’Ue. E quindi si sforzano di passare per i buoni della situazione: accettano perfino i musulmani!… Questo servirà a compiacere Bruxelles, dove invece d’intervenire sulle cause (le guerre) si tamponano le conseguenze (i profughi). Ma crede che tutto ciò faccia capire davvero ai serbi come vive un rifugiato? O quel che han passato milioni di bosniaci e kosovari? Ne dubito. È più facile aiutare un siriano che il tuo vicino. Il premier Vucic va al memoriale di Srebrenica, ma ai tempi era il portavoce dei nazionalisti dello Seselj processato all’Aja. Qui si sta facendo solo maquillage…».
Lei vive in Bosnia, dove abbondano i jihadisti. Teme l’arrivo di fanatici?
«Non subito. Attraversare i confini della Bosnia è complicato, ci sono monti e fiumi: per un terrorista è pericoloso prendere un gommone, fare a piedi i Balcani… Ha mezzi più rapidi. Certo, se i profughi restano a lungo in Serbia, c’è il rischio che qualcuno venga reclutato».
Questi migranti possono diventare un’arma di pressione sull’Ue? Dateci quel che chiediamo o ve ne spediamo milioni…
«Non penso che i governi di Belgrado, di Podgorica o di Skopje siano capaci di tanta raffinatezza. Sono piccoli giocatori d’un gioco enorme. Queste cose le faceva Gheddafi, ma lui era uno statista».
Suo nonno era famoso per la capacità di dialogare coi leader mediorientali…
«Credo che una via l’avrebbe trovata. Sono questioni enormi, servono visioni strategiche. Ma per questi politici, europei o balcanici, il futuro è solo nel sondaggio di domani».
Tanti profughi rimpiangono i Saddam e i Mubarak. Sembra di sentire gli jugo-nostalgici: ah, quando c’era Tito…
«È vero. Alla mia età ho capito che combattere per la libertà è giusto, ma la democrazia devi sapere bene come funziona. Altrimenti, il salto è nel caos».
Francesco Battistini
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