by redazione | 27 Agosto 2015 10:14
Jobs Act, i decreti. Il varo delle nuove regole slitta all’ultimo momento: non verranno discusse al consiglio dei ministri di oggi. Verso un accordo sul telecontrollo, resta aperto il nodo della chiamata nominativa dei lavoratori invalidi. Daita (Cgil): “Si crea un sistema clientelare e si esclude dal lavoro chi sta peggio”
Doppia smentita, ieri, per il ministro del Lavoro Giuliano Poletti: prima ha dovuto correggere le tabelle pasticciate diffuse dal suo dicastero due giorni fa (relative alle assunzioni di luglio, come il manifesto ha denunciato), e poi ha dovuto rimangiarsi la promessa fatta al meeting Cl di Rimini: gli ultimi quattro decreti del Jobs Act, da lui annunciati in mattinata al varo al consiglio dei ministri di oggi, dovranno invece slittare. Forse, al 4 settembre. Si sarebbe già chiuso un accordo per ammorbidire i controlli a distanza, mentre resta in piedi l’odiosa norma sulla chiamata nominativa dei lavoratori disabili.
Il ministro ha giustificato lo slittamento con il «sovraffollamento» di provvedimenti al consiglio di oggi: «Nel corso del pre-consiglio — ha spiegato — è stato verificato che c’erano troppi punti all’ordine del giorno con molti provvedimenti in scadenza ravvicinata: i nostri scadono a metà settembre e perciò è stato deciso che slitteranno alla prossima settimana. D’altronde tutto è pronto, si tratta solo di un problema di sovraffollamento».
Uno dei punti controversi resta quello dei controlli a distanza. Si sarebbe però raggiunto un’intesa con la Commissione Lavoro della Camera, che chiede regole più stringenti.
Il ministero aveva già chiarito che la norma circa i dispositivi utili «per rendere la prestazione» significa che «l’accordo o l’autorizzazione non servono se, e nella misura in cui, lo strumento viene considerato quale mezzo che “serve” al lavoratore per adempiere la prestazione: ciò significa che, nel momento in cui tale strumento viene modificato (ad esempio, con l’aggiunta di appositi software di localizzazione o filtraggio) per controllare il lavoratore, si fuoriesce dall’ambito della disposizione: in tal caso, infatti, da strumento che serve al lavoratore per rendere la prestazione il pc, il tablet o il cellulare divengono strumenti che servono al datore per controllarne la prestazione; con la conseguenza che queste modifiche possono avvenire solo alle condizioni stabilite dalla norma, ossia la ricorrenza di particolari esigenze, l’accordo sindacale o l’autorizzazione» amministrativa.
Nella nuova bozza di decreto dovrebbe quindi essere stata esplicitata questa interpretazione, oltre ad aggiungere un punto sull’informativa al lavoratore e sul Codice della privacy: così come chiede la Commissione Lavoro della Camera, dovrebbe essere aggiunto che «i dati registrati dagli strumenti» potranno essere «utilizzabili a condizione che sia data al lavoratore preventiva e adeguata informazione delle modalità d’uso, dei casi e dei limiti di effettuazione degli eventuali controlli, che in ogni caso debbono avvenire nel rispetto» del Codice della privacy.
I quattro decreti in attesa di approvazione riguardano gli ispettori del lavoro (si istituisce una Agenzia unica), i servizi per l’impiego, la semplificazione e le pari opportunità, e infine gli ammortizzatori sociali.
Resta purtroppo irrisolto, nonostante le ripetute proteste di Cgil, Cisl, Ugl, Anmil e tante associazioni di settore come Coordown, il nodo della chiamata nominativa dei disabili.
Oggi la legge (la 68/2000) prevede che per le imprese da 15 a 35 dipendenti, la «quota» di lavoratori disabili sia soddisfatta con un lavoratore chiamato nominativamente: è comprensibile, trattandosi di una piccola impresa. Da 35 a 50 la quota sale a due, uno su chiamata nominativa e uno scelto con metodo «numerico», ovvero preso dalle liste del collocamento, senza la possibilità che venga selezionato. Infine, oltre i 50 dipendenti, la quota obbligatoria prevede un 7% di personale disabile: il 60% si può chiamare nominativamente, il restante 40% per via numerica.
Il governo vorrebbe estendere la chiamata nominativa a tutte le imprese, la Commissione Lavoro della Camera chiede — per ammorbidire — che valga solo fino a 50 dipendenti. Sindacati e associazioni si sono ribellati: «Lavoreranno solo gli amici e i parenti, o verranno comunque scelti i “meno disabili” — dice Nina Daita della Cgil — Si preferirà un addetto con disabilità minima, al 46%, rispetto a uno con l’80% di invalidità. E gli uffici di collocamento che ci stanno a fare? Si creerà un enorme sistema clientelare. Noi chiediamo di confermare le norme oggi in vigore».
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