Istat, Inps e Governo, sul lavoro una babele di numeri solo italiana
E’ diventato lo spettacolo dei numeri. Il 27 Luglio nella nota flash del ministero del Lavoro si sottolinea che a giugno sono stati attivati 822 mila nuovi contratti di lavoro e siccome ne sono cessati 760 mila ci sono 62 mila contratti in più. Il 31 luglio l’Istat comunica che a giugno ci sono stati 22.297 mila occupati, 40 mila in meno dello scorso anno. Ma il 10 agosto arriva l’Inps a dirci che i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato nei primi sei mesi del 2015 sono aumentati del 36% rispetto ad un anno fa. Il lettore non si preoccupi, non intendo proseguire con altri numeri, né dimostrare chi ha ragione e chi ha torto.
Anzi voglio rassicurarli: tutti i numeri citati sono giusti e tutti i fornitori hanno ragione. D’altra parte si tratta di enti pubblici e di numeri certificati, che nascono da rilevazioni che, anche se aggiornate, esistono da anni. Ed allora? Cosa c’è di nuovo che provoca ogni mese un fiorire di articoli e dichiarazioni di ottimisti della ripresa e di gufatori di professione?
C’è che i numeri sul lavoro, essendo stato questo il principale punto di scontro tra partiti e sindacati e dentro i partiti, si sono caricati di significato politico come mai era accaduto. C’è che mai come adesso avevamo avuto un comunicatore come Renzi che sembra disporre di algoritmi logici generatori automatici di tweet e post che si prestano a diventare titoli di agenzie e tv da amplificare con malcelata simpatia per lo spirito che le anima. C’è anche il fatto che, anche se i dati sono stati sempre prodotti, ministero del lavoro ed Inps, oggi, lo fanno con una enfasi alla quale non sembra estraneo il fatto che il ministro Poletti ha tutto l’interesse ad utilizzare i dati per confermare la validità delle sue scelte sul lavoro e che il presidente dell’Inps Boeri è addirittura l’ideatore del contratto a tutele crescenti. In altri tempi, avremmo parlato di conflitto di interessi, in questi dobbiamo precisare che si tratta di interessi politici e non materiali.
Ma, e così arriviamo a noi, gente di sinistra, c’è anche il fatto che ad ogni uscita pompata dal trio Renzi, Poletti, Boeri le voci critiche sono costrette a rintuzzarne le forzature comunicative, a contestarne gli effetti strabilianti e subiscono due destini: quello di essere ignorate o, forse peggio, quello di essere considerate scontate e, quindi, inutili ed inefficaci.
E così il nuovo Pirandello riesce anche ad assegnare i ruoli a tutti i personaggi del suo spettacolo politico mediatico, amici e nemici che siano, ed a nessuno di essi è consentita una vita vera ed autonoma dall’autore.
Purtroppo però la realtà è più triste della commedia e c’è bisogno urgente di fermare le repliche mensili di questo triste spettacolo.
É triste che mensilmente l’Istat sia come braccato prima e dopo l’uscita dei suoi dati da due organi del servizio statistico nazionale che producono dati come sottoprodotto delle loro attività amministrative. Intendiamoci niente di male o di illecito. Ma perché dare a questi dati che colgono solo aspetti particolari del mercato del lavoro, e nessuno dei quali misura effettivamente l’andamento dell’occupazione complessiva, significati generali che essi non hanno?
Certo non si può impedire ad Inps e ministero del Lavoro di renderli pubblici, e nemmeno a Renzi di trasmetterci il suo entusiasmo, ma è troppo chiedere, che essi vengano messi insieme tra loro con quelli dell’Istat per fornire una lettura integrata del mercato del lavoro che parta dal dato generale del numero di occupati e scenda poi a vedere se sono a tempo determinato o indeterminato, se figli di nuove assunzioni o di minori cessazioni e così via?
In quale altro paese europeo esiste questa babele? Non vorremo per caso esportare in Europa oltre all’Italicum anche il caos statistico? Un primo invito, allora, alla sinistra parlamentare: chiedere che ogni tre mesi l’Istat presenti al parlamento un Rapporto nel quale si fotografi il mercato del lavoro integrando in una visione unitaria ed organica le informazioni provenienti dalle diverse fonti.
Ma, rivolgendomi a lettori di sinistra, c’è qualcos’altro che va detto. Se Renzi ed i suoi sono bravissimi comunicatori è anche vero che a sinistra siamo messi maluccio. Il problema non è di avere argomenti per contestare la lettura governativa dei dati (questo giornale lo fa egregiamente), ma del messaggio che arriva all’opinione pubblica.
Provo a partire da una affermazione provocatoria: che aumentino i contratti a tempo indeterminato è un fatto positivo, anche se quello che loro chiamano a tempo indeterminato lo è solo per tre anni. Non è un caso che tra gli indicatori di Benessere equo e sostenibile (Bes) vi sia la percentuale di trasformazioni da lavori instabili a lavori stabili. La sinistra non può non dirsi contenta per questo. Ma con la stessa onestà deve ricordare che esistono tanti altri indicatori da perseguire (tassi di occupazione, tassi di mancata partecipazione, tassi di infortuni, soddisfazione nel lavoro, lavoratori con bassa paga, lavoro femminile ed asimmetria…) e chiedere che il Rapporto Istat sul lavoro fornisca una visione completa e misuri le azioni di policy col metodo dei costi-benefici.
Per tornare alle trasformazioni a tempo indeterminato incentivate fortemente, la sinistra dovrebbe chiedere di valutare il rapporto costo dei benefici erogati ed effetti occupazionali ottenuti (magari provando a fare da sé qualche calcolo ed a dare i suoi numeri) e proporre, anche in vista della replica del bonus assunzione, che esso sia finalizzato alle assunzioni delle donne, a quelle vere che incrementano il numero degli occupati, a quelle al Sud di cui si parla solo quando esce il rapporto Svimez. Penso che con posizioni più concrete e precise come queste sia più credibile la critica ai numeri e più efficace la critica da sinistra.
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