Il «ritorno» dell’Isis a Sirte
Lo Stato islamico non si arrende e non frena le sue mire su Sirte, città natale dell’ex presidente Muammar Gheddafi.
I quartieri residenziali di Sirte, 450 chilometri a est di Tripoli, in parte sotto il controllo di Isis dallo scorso giugno, dopo la ritirata dei miliziani di Misurata, sono stati oggetto di una nuova aggressione jihadista.
La rivolta popolare contro Isis dei sostenitori delle milizie Scudo di Misurata e dei salafiti locali, che nei giorni scorsi erano riusciti a riprendere il porto di Sirte, prima dei nuovi attacchi di Isis, sarebbe stata innescata dall’uccisione del leader salafita Khaled Ben Rjab per mano di miliziani radicali. Rjab era stato brutalmente assassinato mentre usciva da una moschea del centro.
Il bilancio di scontri e bombardamenti degli ultimi giorni a Sirte sarebbe di 46 vittime (17 solo ieri). Venti dei morti apparterrebbero alla tribù Firjan, la stessa dello sheykh assassinato da Isis.
Il 17 febbraio scorso la Brigata 166, parte della miriade di milizie, affiliate a Scudo di Misurata, del cartello Fajr (Alba), vicine al parlamento di Tripoli, aveva tentato di sottrarre il centro di Sirte ai jihadisti di Isis.
L’operazione fu una risposta all’esercito egiziano che aveva avviato un attacco unilaterale sia contro Tripoli sia contro i jihadisti che non ha trovato però l’atteso appoggio delle Nazioni unite.
La richiesta di ripristinare la fornitura di armi all’autoproclamato capo delle Forze armate, Khalifa Haftar, non venne accolta dal Consiglio di Sicurezza e neppure si concretizzò l’attacco internazionale (con il pretesto dei flussi migratori), invocato da vari paesi tra cui l’Italia. La città di Derna resta saldamente nelle mani dello Stato islamico che ha il suo nemico più stabile proprio nelle milizie Fajr mentre Tobruk e Haftar hanno tutto l’interesse alla destabilizzazione nelle aree controllate da Tripoli, in particolare dei terminal petroliferi, per innescare un nuovo intervento internazionale nel paese.
Anche a Derna alla fine di luglio il Consiglio della Shura dei mujaheddin si era sollevato contro Isis.
Per il momento l’opzione più probabile sul campo è l’invio di una missione di peace-enforcing a guida italiana, voluta dalle Nazioni unite.
Truppe francesi, spagnole, tedesche e inglesi sarebbero già pronte per sbarcare nel paese.
Gli Usa non dovrebbero partecipare con uomini sul terreno, ma soltanto fornire intelligence e copertura logistica.
Il paese resta dilaniato dalle divisioni politiche con i due parlamenti di Tripoli e Tobruk divisi su tutto. Deragliata la bozza di intesa discussa in Marocco per i malumori di Tripoli, è in corso un nuovo round negoziale a Ginevra.
Non solo, il premier del debole governo di Tobruk, Abdullah al-Thinni, aveva annunciato le sue dimissioni entro domenica per il continuo vuoto di potere.
Anche le tribù locali e i gheddafiani sono divisi sul sostegno da assicurare all’una o l’altra fazione. La Corte di Tripoli tuttavia ha disposto la condanna a morte per il figlio di Gheddafi, Seif al-Islam, in mano alle milizie di Zintan che appoggiano Tobruk.
Non sembra neppure vicina una soluzione del rapimento dello scorso 20 luglio dei quattro tecnici italiani della Bonatti di Parma.
Inizialmente sembrava che alla base dell’agguato ci fossero richieste di bande di contrabbandieri e scafisti che infestano le coste libiche e fanno affari sulle spalle dei migranti.
Lo Stato islamico ha colpito ieri anche nel vicino Egitto. Il gruppo affiliato ai jihadisti attivi in Siria e in Iraq, Beit al-Meqdisi, ha annunciato lo sgozzamento di un ostaggio croato, impiegato di un’azienda francese. Tomislav Salopek, 30 anni, era stato rapito un mese fa.
Un video mostra i miliziani che minacciano di decapitarlo entro 48 ore.
Nonostante un fotogramma dell’avvenuta esecuzione circoli su Twitter, le autorità egiziane non hanno confermato la morte del croato.
Nella rivendicazione, Isis ha parlato del ruolo del governo croato (che non ha fornito truppe di terra) nella coalizione internazionale contro i jihadisti.
Le autorità croate hanno fatto sapere che per la liberazione dell’ostaggio era stato richiesto un riscatto e il rilascio di alcune detenute nelle prigioni di Zagabria. Tuttavia gli inquirenti non hanno ritenuto credibili le richieste.
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