Il lunedì nero di Shan­ghai

Il lunedì nero di Shan­ghai

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Shan­ghai crolla, di nuovo, con un tonfo (-8,5) che pro­voca per­dite glo­bali come non si vedeva da tempo. Il panico del ral­len­ta­mento di Pechino col­pi­sce tutti: sia gli azio­ni­sti cinesi, pre­oc­cu­pati dagli scarsi segnali che arri­vano dalla diri­genza — mai così in dif­fi­coltà come in que­sto periodo — sia le borse mon­diali, tutte impe­gnate a pro­vare ad argi­nare quello che ormai pas­serà alla sto­ria come il «lunedì nero» di Shanghai.

Le ragioni del ral­len­ta­mento della loco­mo­tiva cinese sono ormai note e si regi­strano da tempo: la dimi­nu­zione delle espor­ta­zioni (-8%) nel mese di luglio, cui è seguita la sva­lu­ta­zione dello yuan da parte della Banca cen­trale, l’indice di acqui­sto del mani­fat­tu­riero di ago­sto al 47,1 (quindi una con­tra­zione) uni­ta­mente ad una cre­scita data al 7%, in ral­len­ta­mento (ma è pur vero che da tempo la Cina non cre­sce a dop­pia cifra). A que­sto pro­po­sito, i dati cinesi vanno sem­pre presi con le neces­sa­rie precauzioni.

Ana­liz­zando altri fat­tori, si potrebbe con­clu­dere che la cre­scita sia lie­ve­mente infe­riore al 7%, ma i numeri non cam­biano la sostanza. Il vero pro­blema, infatti, è nel manico. La que­stione di cui essere pre­oc­cu­pati non appare tanto negli indi­ca­tori attuali dell’economia cinese, quanto nelle capa­cità della diri­genza locale di uscire da que­sto momento dif­fi­cile. Pechino si trova in mezzo ad un guado.

La bolla immo­bi­liare, gli inve­sti­menti sbal­lati delle pro­vince e ora il mer­cato azio­na­rio. Xi Jin­ping dovrebbe met­tere mano a quelle riforme pro­messe, ma non ancora attuate, per­ché bloc­cate da gruppi diri­genti del Par­tito che ad oggi pre­fe­ri­scono insi­stere sul «modello» eco­no­mico basato sulle espor­ta­zioni e che vedono in modo nega­tivo la riforma delle aziende di stato. Il peso poli­tico delle zone cinesi che cre­scono meno dopo aver trai­nato il paese (il sud est prin­ci­pal­mente) è ampio e deter­mina l’attuale dif­fi­coltà della leadership.

Sul modello cinese si è espressa dome­nica scorsa sul The Guar­dian Jayati Ghosh, una delle più quo­tate eco­no­mi­ste al mondo, non­ché pro­fes­so­ressa di eco­no­mia alla Jawa­har­lal Nehru uni­ver­sity. Nel suo arti­colo Ghosh met­teva in fila i dilemmi dell’economia cinese, spe­ci­fi­cando come l’attuale crisi di Pechino sia un monito per tutte quelle eco­no­mie emer­genti che ave­vano visto nella Cina una sorta di modello da imi­tare (India, Bra­sile, Tur­chia tra gli altri).

Le recenti dif­fi­coltà dell’economia cinese — ha scritto — «sono ben note ormai: la caduta dei prezzi immo­bi­liari ha messo fine al boom edi­li­zio e si è poi pro­vato a porre rime­dio in modo mal­de­stro al suc­ces­sivo scop­pio della bolla del mer­cato azio­na­rio. Ma que­ste dif­fi­coltà attuali sono il risul­tato di pre­ce­denti stra­te­gie eco­no­mi­che che sono state ampia­mente cele­brate, quando tutto sem­brava ancora fun­zio­nare al meglio».

Rag­giunta tele­fo­ni­ca­mente, ha spie­gato a il mani­fe­sto la sua per­ce­zione della crisi in corso in Cina. Par­tendo dalla borsa: «Inco­rag­giare la corsa al mer­cato bor­si­stico da parte del governo cinese è stato un atto cinico e si è trat­tato di un gesto dal respiro di breve ter­mine. Si tratta di un atto cinico, per­ché alla fine hanno por­tato le per­sone e le aziende a richie­dere pre­stiti per inve­stire, finendo per creare altri pro­blemi, invece di risol­verli». In effetti la corsa alla borsa è stata una scelta delle diri­genza, si dice, per sviare l’attenzione dalla bolla in corso nel set­tore immobiliare.

«Tutti hanno con­corso a que­sto feno­meno, aggiunge Ghosh, a comin­ciare dal pre­mier Li Keqiang, tutti hanno note­vol­mente spinto sullo stock mar­ket; que­sto ha por­tato a creare una vera e pro­pria bolla. E quando a un certo punto è man­cata la fidu­cia è arri­vato il panico, tutti a ven­dere. E dopo il danno hanno pro­vato a pro­porre delle regole assurde, che hanno con­fer­mato una certa impre­pa­ra­zione della diri­genza di fronte a quanto acca­duto sui mer­cati finan­ziari». Anche secondo l’economista indiana ci sono due ordini di ragio­na­mento: un primo evi­den­zia delle que­stioni poli­ti­che ancora aperte all’interno del par­tito, sot­to­po­sto pro­ba­bil­mente ad un nuovo scon­tro tra chi cerca di difen­dere posi­zioni che non con­sen­tono di risol­vere l’attuale crisi.

L’altro riguarda la solu­zione. Secondo Ghosh «Pechino deve prov­ve­dere ad un gesto molto corag­gioso, ovvero aumen­tare i salari per aumen­tare i soldi a dispo­si­zione delle fami­glie, ali­men­tando così la pos­si­bi­lità di cre­scita del mer­cato interno. Gli inve­sti­menti sono fal­li­men­tari, creano delle altre bolle. Senza aumen­tare i salari non risol­vono que­sta situa­zione com­pli­cata. Del resto la crisi è glo­bale, non è certo colpa della Cina».

Sulle pos­si­bi­lità che que­sto avvenga, tor­niamo ai dubbi sulla situa­zione poli­tica interna al Par­tito: «Tempo fa pen­savo fos­sero in grado di farlo, per­ché già ave­vano prov­ve­duto ad aumen­tare i salari e per certi versi si erano mossi in que­sto senso, pro­prio in un’ottica di redi­stri­bu­zione, capace di riat­ti­vare il mer­cato interno. Ma negli ultimi tempi que­sto non è suc­cesso, e le lobby poli­ti­che interne sem­brano fre­nare que­sta possibilità».



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