I «muri» europei sul caso profughi

I «muri» europei sul caso profughi

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Gevgelija, una città di 22 mila abitanti del Sud della Macedonia: dopo aver sostato a lungo sulla banchina, centinaia di migranti danno l’assalto a un treno, cercando di assicurarsi un posto per la Serbia, l’ultimo Paese che rimane fra loro e l’Unione Europea. I migranti arrivano dalla Grecia e sono soprattutto di origine mediorientale e afghana 
BRUXELLES Tra proteste di piazza e scontri politici l’emergenza immigrazione moltiplica le linee di frattura in Europa. A Nord il premier britannico David Cameron non fa retromarcia dopo i richiami di Bruxelles e le dichiarazioni sugli «sciami che attraversano il mare» ma rilancia: «Fermeremo le irruzioni». Dalla Svezia alla Lettonia fino all’Italia, le destre evocano «il genocidio dei bianchi». E a Est s’infiamma l’ex blocco sovietico. Non c’è solo l’Ungheria del nazionalista Viktor Orbán che alza il muro di filo spinato e lancia una campagna per scoraggiare gli ingressi illegali dai Balcani. In Slovacchia migliaia hanno manifestato a Bratislava contro la decisione del governo socialdemocratico di accettare 100 profughi in arrivo da Grecia e Italia secondo le ricollocazioni previste dall’Agenda Immigrazione della Commissione Ue. Gli smistamenti di circa 32 mila persone partiranno a settembre, Bruxelles vuole arrivare a 40 mila. Ci sarà battaglia.
La cattolica Polonia si è offerta di accogliere mille-duemila rifugiati, su 38 milioni di abitanti. Cinquanta famiglie siriane sono arrivate a luglio. Il dibattito politico ruota intorno alla richiesta delle frange più conservatrici di aprire le porte solo ai cristiani. Il tema è incandescente, Varsavia non ha i problemi economici dei vicini regionali ma a ottobre va al voto e la destra nazional-populista è in ascesa. Alle ultime presidenziali è stato eletto Andrzej Duda, del partito di Jaroslaw Kaczynski, che considera prioritario il rafforzamento della presenza Nato in funzione anti-russa. Sarà questa la carta negoziale degli occidentali. Come ricorda il ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maizière, «la solidarietà dev’essere reciproca». Se il Centro-Est vuole più protezione, la contropartita è l’accoglienza. La Germania, che prevede 600 mila arrivi nel 2015, ha visto negli ultimi mesi una fiammata di violenze anti-immigrati. La cancelliera Angela Merkel ieri ha condannato gli attacchi — «Non sono degni del nostro Paese» — e richiamato l’urgenza di «valutazioni comuni da parte della Ue» sulle condizioni di sicurezza negli Stati di provenienza degli immigrati, riferimento alla condivisione di sforzi anche nelle procedure di identificazione e asilo.
Il governo lettone, che accoglierà 200 persone giunte in Europa via mare, ha attrezzato una base militare abbandonata dove per ora dormono in 50. Nei raduni della sua Alleanza nazionale, che governa in coalizione con i liberali, il segretario generale Raivis Zeltits ricorda che la dominazione sovietica ha privato il Paese di una tradizione multiculturale e che «nel resto dell’Unione Europea l’integrazione dei musulmani non ha dato buoni risultati». Nella Repubblica Ceca, dopo una rivolta in un centro di immigrati, il presidente socialdemocratico Milos Zeman ha tagliato corto: «Nessuno vi ha invitati, se qui non vi piace andatevene».
Maria Serena Natale


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