I contratti stabili? Soltanto 47 in più

by redazione | 26 Agosto 2015 8:58

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Jobs Act. Il flop di luglio conferma la precipitazione da maggio in poi. Il saldo tra nuovi tempi indeterminati e cessazioni dice che la riforma Renzi, fra incentivi e tutele crescenti, non sta funzionando. Il giallo delle tabelle ministeriali «pasticciate»: alcuni numeri forniti dallo staff di Poletti sono confusi. E nel mirino del governo finiscono le pensioni

Nes­suna tre­gua per il governo sul fronte del mer­cato del lavoro. Al rien­tro dalla pausa estiva, i con­tratti a tutele cre­scenti non sup­por­tano la pro­pa­ganda. Secondo le infor­ma­zioni con­te­nute nell’ultima nota men­sile del mini­stero del Lavoro, pub­bli­cata ieri, i con­tratti a tempo inde­ter­mi­nato (a tutele cre­scenti) al netto delle ces­sa­zioni sono stati appena 47 nel mese di luglio (lo 0,3% del totale dei rap­porti netti).

Impie­toso è il con­fronto con le altre tipo­lo­gie con­trat­tuali, a con­ferma che non c’è argine al pre­ca­riato nelle riforme del governo. Tranne nel caso delle col­la­bo­ra­zioni (-23.122), le altre tipo­lo­gie sovra­stano nume­ri­ca­mente i tempi inde­ter­mi­nati. A luglio, il saldo rela­tivo al tempo deter­mi­nato è di 144.074 rap­porti netti, i con­tratti di appren­di­stato e quelli clas­si­fi­cati come «altro» (in cui ven­gono inclusi i con­tratti di inse­ri­mento lavo­ra­tivo; di agen­zia a tempo deter­mi­nato e inde­ter­mi­nato; inter­mit­tenti a tempo deter­mi­nato e inde­ter­mi­nato; auto­nomo nello spet­ta­colo) sono pari rispet­ti­va­mente a 7.785 e 6.633.

Anche le tra­sfor­ma­zioni di con­tratti a ter­mine in con­tratti a tutele cre­scenti riman­gono di gran lunga supe­riori ai con­tratti netti a tempo inde­ter­mi­nato (27.328). Un dato sot­to­sti­mato, in quanto non tiene conto delle tra­sfor­ma­zioni di rap­porti di appren­di­stato (con­te­nuti invece nelle pub­bli­ca­zioni dell’osservatorio sul pre­ca­riato dell’Inps).

Le cifre non tornano

Al di là dei dati men­sili, c’è qual­cosa che non torna nella tabella di sin­tesi che il mini­stero ha pub­bli­cato insieme alla nota di luglio. La tabella, che riporta i dati com­ples­sivi di atti­va­zioni e ces­sa­zioni di rap­porti di lavoro tra gen­naio e luglio, mostra valori dif­fe­renti da quelli che è pos­si­bile risco­struire par­tendo dalle note men­sili. Sof­fer­mando l’attenzione sui con­tratti a tempo inde­ter­mi­nato, la dif­fe­renza tra la tabella del mini­stero e la rico­stru­zione delle serie sto­ri­che men­sili sot­to­stima sia il numero di atti­va­zioni che quello delle ces­sa­zioni, rispet­ti­va­mente di 130.933 e 434.046 unità. Poi­ché la sot­to­stima è mag­giore per le ces­sa­zioni rispetto alle atti­va­zioni, ciò implica che il totale di con­tratti netti è supe­riore rispetto a quello che è pos­si­bile desu­mere da una rico­stru­zione men­sile dei dati. La dif­fe­renza non è tra­scu­ra­bile: si trat­te­rebbe di 303.113 rap­porti di lavoro in più sti­mati dal mini­stero. Discre­panze che pos­sono essere dovute a una mol­te­pli­cità di fat­tori: errori di cal­colo, revi­sioni, omis­sioni. È impor­tante che il mini­stero risponda di que­ste dif­fe­renze, pub­bli­cando le revi­sioni o smen­tendo la tabella pub­bli­cata nel caso si tratti di errori di cal­colo, così da ren­dere tra­spa­rente l’attività di osser­va­to­rio statistico.

Stando ai dati in ogni caso non sem­bra finora pos­si­bile con­fu­tare la tesi secondo cui i pochi nuovi con­tratti a tutele cre­scenti atti­vati, di fatto sta­bil­mente pre­cari senza l’articolo 18, non sono il risul­tato di un rin­no­vato inte­resse delle imprese a creare occu­pa­zione, bensì degli sgravi che que­ste ultime sono in grado di inta­scare gra­zie alla decon­tri­bu­zione sul costo del lavoro. Lo slan­cio, sep­pur tenue, segnato nei primi quat­tro mesi del 2015 è pale­se­mente sva­nito a par­tire da mag­gio. Il ral­len­ta­mento dell’economia ita­liana e l’inadeguatezza del governo nel far fronte alla crisi, nono­stante la con­giun­tura favo­re­vole, sta nei fatti.

L’attacco alla previdenza

Nel frat­tempo la mag­gio­ranza di governo riba­di­sce la volontà di com­pri­mere ulte­rior­mente i diritti dei lavo­ra­tori, così come si evince dalle pro­po­ste del sena­tore Pie­tro Ichino (Pd) sul ridi­men­sio­na­mento del diritto di scio­pero e sulla pos­si­bi­lità di sosti­tuire com­ple­ta­mente la con­trat­ta­zione col­let­tiva con quella azien­dale. Dele­gare le con­di­zioni di lavoro e le retri­bu­zioni alla con­trat­ta­zione azien­dale signi­fica spo­stare ulte­rior­mente il potere nego­ziale a favore delle imprese e a disca­pito dei lavo­ra­tori, soprat­tutto lad­dove i sin­da­cati non esi­stono. La con­se­guenza più imme­diata e dif­fusa sarebbe la ridu­zione dei salari di base e il peg­gio­ra­mento delle con­di­zioni lavo­ra­tive. Inol­tre, ci sarebbe il rischio di creare quelle che un tempo veni­vano chia­mate «gab­bie sala­riali», ovvero una dif­fe­ren­zia­zione di sala­rio tra Nord e Sud. Vere e pro­prie gab­bie di sot­to­svi­luppo, e si avve­re­rebbe l’allarme del rap­porto Svi­mez sull’arretramento per­ma­nente e il sot­to­svi­luppo del Sud.

Fa eco uno dei con­si­glieri eco­no­mici del pre­mier, Tom­maso Nan­ni­cini, che vor­rebbe «sosti­tuire la de-contribuzione sui nuovi assunti con un taglio strut­tu­rale del cuneo con­tri­bu­tivo, senza fisca­liz­zarne i costi e incen­ti­vando i lavo­ra­tori a inve­stirne una parte nella pre­vi­denza com­ple­men­tare». Rispetto all’attuale decon­tri­bu­zione alle imprese coperta dalla fisca­lità gene­rale, nell’idea di Nan­ni­cini lo Stato non paghe­rebbe i con­tri­buti non ver­sati, ope­rando un taglio netto alla pen­sione futura dei neo assunti, come fanno notare Susanna Camusso della Cgil e Guglielmo Loy della Uil. Inol­tre, sug­ge­ri­sce Nan­ni­cini, i lavo­ra­tori potranno chie­dere in busta paga i con­tri­buti rispar­miati che saranno a quel punto tas­sati come nor­male red­dito. Oppure, inve­stirli in fondi pri­vati di pre­vi­denza, su cui pro­prio l’anno scorso il governo Renzi ha aumen­tato la tassazione.

Un pro­getto che ren­de­rebbe il sistema pen­sio­ni­stico più ini­quo in quanto dal pub­blico basato sul con­tri­bu­tivo, si pas­se­rebbe a un modello di inve­sti­mento pri­vato, con un approc­cio retri­bu­tivo basato sulla capa­cità di risparmio.

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