Non c’è due senza tre. Gli 86 miliardi promessi alla Grecia da Bce, Ue, Fmi ed Esm con il terzo piano di salvataggio hanno le stesse caratteristiche dei 240 miliardi dei primi due: sono prestiti- boomerang. Teoricamente riservati ad Atene, in realtà destinati a tornare quasi tutti nelle stesse tasche da cui sono partiti, quelle dei creditori. Nuovi debiti fatti per pagare quelli vecchi, lasciando all’economia reale ellenica solo le briciole.
Il meccanismo, ormai, è rodato. E l’ultimo prestito ponte della Ue da 7,16 miliardi – in questo senso – è un caso scuola: i soldi sono partiti da Bruxelles la mattina del 20 luglio,direzione il Partenone. Una volta sotto l’Acropoli, si sono fermati per qualche minuto – giusto il tempo per la registrazione al ministero delle Finanze. Poi, in sostanza, sono tornati al mittente: 2 miliardi sono volati a Washington per rimborsare il Fondo Monetario e oltre 4 a Francoforte per onorare un prestito in scadenza con la Banca centrale europea. Ad Atene sono rimasti 400 milioni, briciole. Congelati tra però in un conto che funge da garanzia per altri debiti esteri.
Stessa fine faranno i 23 miliardi in arrivo nelle prossime settimane con la prima tranche del nuovo programma di “aiuti”, come li chiamano eufemisticamente un po’ tutti. Il governo di Alexis Tsipras e i greci ne vedranno ben pochi. Ben 7,16 miliardi rientreranno a stretto giro di posta a Bruxelles per estinguere il prestito ponte di un mese fa. Oltre dieci miliardi saranno messi da parte per puntellare le banche domestiche (che dal 2009 hanno già ricevuto e bruciato 48 miliardi di capitale dalla Troika). Il resto servirà per onorare le prossime rate in scadenza con i creditori e un po’ dei debiti con i privati accumulati dallo Stato negli ultimi mesi.
Nessuno ad Atene si sorprende. Il piatto, per i cittadini ellenici, piange da tempo. Il primo piano di aiuti di Bce, Ue e Fmi del 2010 è servito – come ha ammesso con onestà Washington – a evitare il crac delle banche europee (specie tedesche e francesi) e ad a evitare l’effetto contagio sull’euro. Il secondo nel 2012 e il terzo di oggi servono per consentire alla Grecia di continuare a pagare i suoi generosi benefattori.
Dei 240 miliardi stanziati nei due primi salvataggi, solo 11,7 – ha calcolato il think tank Macropolis – sono rimasti davvero a disposizione del governo per alleviare la crisi del paese. Il 5% del totale. Il resto se né andato per onorare debiti e interessi ( 122 miliardi), per gli istituti di credito, per la ristrutturazione dell’esposizione con i privati di tre anni fa (34) e per finanziare il deficit di bilancio (15). Lo stesso succederà agli 86 in arrivo nei prossimi tre anni: 53 serviranno per ripagare la Troika, 25 per le banche, 4,5 per consolidare i depositi bancari e 7 per gli arretrati con i privati. Per completare l’opera, Atene dovrà contribuire in proprio alle sue necessità finanziarie garantendo un surplus primario di bilancio di 6 miliardi grazie a nuovi tagli al welfare e vendendo beni pubblici per 2,5 miliardi.
Questi dati bastano da soli a spiegare come mai Tsipras e Yanis Varoufakis abbiano tanto insistito per la riduzione dell’esposizione del paese. Il debito si mangia da solo il 60% delgi aiuti. E solo tagliandolo si possono liberare i soldi necessari per dare ossigeno all’economia. Il vero aiuto della Troika alla Grecia in effetti non sono state le centinaia di miliardi prestiti-boomerang ma la ristrutturazione dell’esposizione garantita ad Atene nel 2012 ( con il congelamento del pagamento degli interessi fino al 2022 e l’abbassamento dei tassi d’interesse). Un intervento che da solo – calcola il numero uno del fondo salvastati Klaus Regling – “significa otto miliardi di risparmi l’anno sul servizio del debito”. Tanti, visti dal Partenone. Bruscolini però rispetto ai 100 risparmiati dall’inizio della crisi da Berlino – come ha calcolato il centro studi tedesco Iwh – grazie al calo dei tassi sul Bund garantito dalla crisi ellenica.