Droghe. Vent’anni di battaglie e divieti “Una lotta impari:lo sballo vince sempre”

Droghe. Vent’anni di battaglie e divieti “Una lotta impari:lo sballo vince sempre”

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RICCIONE . Lungo le strade del divertimentificio poco o nulla è cambiato. Sui bordi sabbiosi delle spiagge, arene di rave alcolici nemmeno più clandestini, nella quiete delle colline di Riccione, dove il Cocoricò a luci basse sembra un’astronave abbandonata.
Si moriva ieri, si muore oggi, la droga è sempre la stessa, ecstasy un po’ più cattiva dicono, e così l’infinito dibattito, quasi una guerra dei 30 anni, sul ballo che diventa sballo, quella “s” maledetta ancora purtroppo archetipo del divertimento, terrore nelle notti insonni dei genitori di figli ragazzini. In mezzo il nulla. I grandi club (come è avvenuto ieri sera al Cocoricò) che provano ad allearsi nelle battaglie antidroga, i sigilli che seguono i lutti, le leggi mai approvate, l’invocazione di misure da stadio nelle discoteche, le chiusure anticipate, l’alcol razionato. Un salto all’indietro, un dejà vu. Con la differenza che negli anni Novanta, agli esordi dello sbarco dai Balcani delle droghe sintetiche nel nostro Paese, in tutta Italia resistevano i Sert (servizi territoriali per le tossicodipendenze) e le comunità di recupero. Approdi già malconci ma pur sempre approdi, oggi spazzati via dai tagli e dall’oblio delle politiche sulle tossicodipendenze. I camper della “riduzione del danno” che analizzavano le pasticche davanti alle discoteche (le famose roulotte del Gruppo Abele, della comunità di Villa Maraini) scomparsi come archeologia dello stato sociale. Era il 1988 quando un folto gruppo di tenaci madri romagnole guidate da Maria Belli, ex assessore comunista alla Pubblica istruzione di Forlì e madre di tre figlie, riuscì a far abbassare i decibel al mitico “Bandiera gialla” di Rimini. Iniziando così una battaglia (poi nella singolare alleanza con il cattolico Giovanardi) per la chiusura delle discoteche alle tre del mattino, legge discussa nel 1993, poi nel 2003, poi definitivamente dimenticata. Fino a ieri. Come le stanze di “decompressione” dove sostare prima di tornare a casa, o i disco- bus che all’uscita dei locali avrebbero dovuto riportare i ragazzi a casa, ma che regolarmente viaggiavano vuoti. Misure sagge, misure sbagliate di cui oggi non resta nulla.
Al Cocoricò chiuso per ordine del prefetto l’atmosfera è mesta. “Accendiamo la musica, spegniamo la droga” è il titolo della serata, che vorrebbe anche ricordare Lamberto, 16 anni, morto proprio lì, in pista, per un’ecstasy comprata da un amico quasi coetaneo. Un uragano di dolore che travolge due famiglie. L’inizio di una catena di lutti, come quando si diffondono partite di droghe letali: muore Lorenzo, nel Salento, e Ilaria, 16 anni, su una spiaggia di Messina. Prince Maurice, dj simbolo del club, suona un brano dedicato ai «giovani incoscienti », per adesso è solo musica, seguiranno le parole. «Noi vogliamo essere il tempio del ballo e non dello sballo», di nuovo quella “s” che rovina tutto, ma la frase era identica negli anni Novanta, quando nella stessa riviera del divertimentificio arrivarono i primi morti per ecstasy.
E come in ogni guerra ci sono i sopravvissuti e i parenti delle vittime a cui è affidata la memoria. Perché l’accaduto non si ripeta. Tocca a Giorgia Benusiglia parlare, Giorgia che non si stanca mai di raccontare, e spiegare, e aiutare. Nel 1999 aveva 17 anni e una passione per le discoteche: buttò giù una pasticca e si ritrovò in fin di vita con una epatite fulminante. Salvata con un trapianto di fegato ( donato dai genitori di una sua quasi coetanea morta in un incidente stradale) ha deciso di dedicare la sua vita alla prevenzione della droga. Alta, bruna, semplice Giorgia incontra ogni anno migliaia di studenti, genitori, insegnanti. «Per quelle poche ore di sballo ho perso la mia giovinezza e metà della mia vita, sono qui, è vero, ma avendo subito un trapianto sono e resterò per sempre sotto stretto controllo medico, una paziente a vita. Ai ragazzi racconto il mio calvario in ospedale, racconto della mia donatrice Alessandra, che vive dentro di me… Non credo nel proibizionismo, credo nel contatto con i giovani, per questo vado ovunque, mi occupo dei ragazzi, del loro disagio che spesso porta alla droga. Noi dobbiamo fare qualcosa: una serata in discoteca non può concludersi all’obitorio».
Le cifre dicono che in Italia oggi si muore ancora per eroina più che per le droghe sintetiche: le vittime nel 2014 sono state 350, cioè una al giorno. Erano oltre mille nel 1999. Ma medici, psichiatri e operatori dei Sert mettono in guardia da una nuova emergenza: «La diffusione a tappeto delle pasticche, sta creando gravi danni psichiatrici tra i giovanissimi. Ma sappiamo da tempo però che questi tipo di pazienti sfuggono alle cure, non si sentono “drogati”. E quando arrivano da noi è già troppo tardi».
Luci scure, il simbolo del Cocoricò scorre dietro la consolle. Ci sono i Dj Maurice e Ralf, uno dei proprietari del locale-piramide Fabrizio De Meis. Il pubblico è adulto, composto. I giovani non sono molti, ma attenti. «Non siamo qui per chiedere la riapertura del Cocoricò, ma per allearci con i giovani nella lotta alla droga, battaglia che stiamo conducendo da tre anni insieme alla comunità di San Patrignano. Prendere una pasticca di ecstasy è come giocare alla roulette russa, i ragazzi devono saperlo. E aggirare i divieti è troppo facile: noi non diamo alcolici ai minorenni, ma come possiamo impedire loro di ubriacarsi di vodka liscia all’uscita del locale? Tutto è diventato troppo pericoloso: penso seriamente che si dovrebbe impedire l’accesso in discoteca ai minori di diciotto anni…».


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