Distrutto un monastero l’ultimo sfregio dell’Is “Usano armi chimiche”

by redazione | 22 Agosto 2015 8:39

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GERUSALEMME . Era immerso in un’oasi, un monastero del V secolo – 432 dopo Cristo, dedicato a un martire cristiano – che da mille e cinquecento anni è meta di pellegrini e turisti, un gioiello dell’arte e dell’architettura in mezzo al deserto siriano. Era, perché la furia distruttrice dei jihadisti del Califfo lo ha raso al suolo, in nome di un Islam rivendicato come il più puro dai suoi fanatici e sanguinari fedeli. La notizia l’hanno data gli stessi “uomini in nero” dello Stato Islamico, postando sui social network le foto di un bulldozer che butta giù le mura millenarie e le strutture portanti di Mar Elian, per un ennesimo sfregio alla civiltà. Che arriva dopo quello compiuto nell’antica Palmira (con feroce e macabra esecuzione del direttore del sito archeologico) e a due settimane dalla conquista di Al Qaryatayn, dove i tagliagole dell’Is hanno rapito 230 civili innocenti, tra cui 60 cristiani, diversi dei quali si erano rifugiati proprio nel monastero. Nessuno sa che fine abbiano fatto (una metà, con tutti i cristiani, sarebbero stati trasferiti a Raqqa, la sedicente capitale del Califfato), come nessuno sa che fine ha fatto padre Jacques Mourad, priore del monastero, rapito nel maggio scorso lungo la strada che porta a Palmira. Mar Elian era da tempo una filiazione di Deir Mar Musa, il monastero (rito siriaco) di San Mosè l’Etiope situato ottanta chilometri a nord di Damasco e “rifondato” (insieme a Mar Elian) nel 1982 da padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita che dal 1992 aveva promosso il dialogo tra cristianesimo e islam e che venne rapito il 29 luglio 2013 mentre si trovava a Raqqa. Anche di lui, nonostante si siano rincorse per mesi diverse voci che lo identificavano prigioniero di un gruppo o di un altro (e in differenti prigioni della vasta area controllata dai gruppi ribelli), si sono perse le tracce. Al Qaryatayn si trova in un punto strategico, lungo una strada che collega il “governatorato” di Palmira e quello di Homs con le montagne Qalamoun (al confine con il Libano) una zona ricca di giacimenti dove la guerra civile infuria da mesi. E proprio a causa del conflitto il monastero e la cittadina vicina da tempo avevano accolto e protetto migliaia di profughi, cristiani e musulmani.
Dagli Stati Uniti è arrivata ieri la conferma che le milizie del califfo al Baghdadi starebbero usando il micidiale “gas mostarda” negli attacchi contro i combattenti curdi in Iraq. Una notizia che l’intelligence israeliana aveva fatto filtrare alla vigilia di Ferragosto e che ora appare (quasi) certa grazie ai nuovi test compiuti su frammenti di mortaio. La conferma sull’uso di armi chimiche (che provengono dall’esercito di Assad e che devono essere quindi cadute in mano ai ribelli) arriva dal brigadiere generale Kevin Killea, che in quanto responsabile delle “operazioni contro l’Is” è il più alto ufficiale dell’esercito Usa a combattere la guerra varata da Obama contro lo Stato Islamico.
Quanto accade in Siria viene seguito con estrema attenzione a Gerusalemme. Ieri il premier Netanyahu ha apertamente accusato l’Iran per i razzi caduti sulle alture del Golan e in Alta Galilea: «Chi corre ad abbracciare l’Iran sappia che è stato un comandante iraniano a guidare il reparto che ieri ha aperto il fuoco su Israele dalla Siria. Noi colpiremo chiunque tenti di attaccarci».
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