ATENE . Sono le tre del pomeriggio quando alla sede di Syriza arriva l’Audi scura, ed era un po’ che non la si vedeva da queste parti. Dall’auto esce un Alexis Tsipras casual con la polo. Ora che non è più premier con la relativa palazzina presidenziale a mo’ di quartier generale, la vita politica del leader si risposta tutta all’ultimo piano di questo palazzo in piazza Koumoundourou, nel suo ufficio corredato dei manifesti cileni di Salvador Allende e con una foto del Che Guevara tra i libri. Come ai bei tempi del partito di lotta dura e senza paura.
Chi non si è rassegnato, dopo appena sette mesi di sofferta permanenza al governo, ha fatto il salto del Rubicone: la scissione di Syriza è ufficiale. Nasce così un nuovo partito della già frammentata sinistra greca, “Unità Popolare”. Venticinque deputati (potrebbero arrivare a trenta) capeggiati dall’ex ministro Panagiotis Lafazanis, più un numero ancora da calcolare di membri della segreteria di Syriza e del comitato centrale. Il documento dei dissidenti che circola dalle prime ore del mattino, a dispetto del dramma politico-esistenziale di chi l’ha firmato, è stampato in comic sans, un carattere che più sbarazzino non si può, quasi da scuola elementare. Si ironizza anche su quello, tra compagni ora diventati ufficialmente nemici giurati, visto che nemici lo erano anche prima ma non lo si poteva dire ad alta voce. Fratelli-coltelli che per qualche giorno ancora saranno costretti a convivere alla “Botteghe Oscure” di Syriza. La sinistra al cubo di Lafazanis nel frattempo diventa il terzo gruppo parlamentare e, in teoria, potrebbe pure ricevere dal presidente della Repubblica l’incarico di cercare i voti in Parlamento per formare un nuovo governo. Ad avere questo compito da ieri è Vangelis Meimarakis, leader del partito consevatore, incaricato dal presidente della Repubblica Prokopis Pavlopoulos. Se, come probabile, Nuova Democrazia non ce la farà, si passerà ai duri e puri ex-Syriza,con possibilità anche minori. «Ma noi utilizzeremo comunque i tre giorni di tempo che il mandato ci concederà», promette Dimitris Stratoulis. Tradotto: far perdere tempo a Tsipras, il quale ha puntato tutto sulla velocità per vincere di nuovo le elezioni, e prenderne un po’ per sé, per organizzarsi.
Il piano di Tsipras punta a non lasciare le briciole alle opposizioni. In un sol colpo – era ed è l’obiettivo – far fuori la riottosa minoranza di sinistra, che non sarebbe stata rimessa nelle liste bloccate; stravincere le elezioni e infine ritrovarsi con la maggioranza assoluta targata Syriza, una Syriza però “normalizzata”. L’indice di gradimento personale di Tsipras e quello del partito (dato al 40 per cento) sembrano confermare la bontà delle schema avviato con le dimissioni.
La radio del partito, Kokkino (“rosso”), lascia per qualche minuto i microfoni aperti: «Sto con la maggioranza – dice un ascoltatore – ma quanto è avvenuto lascerà delle ferite aperte. Il partito non è mai stato messo al corrente delle scelte di Tsipras e si è posticipato il congresso nel quale dovevamo discutere di cosa fare». A chi ha posto la questione, Tsipras ha sostanzialmente fatto spallucce. La dirigenza più vicina a lui non ha remore nel definire gli ex compagni dei “rompiscatole” ancora legati a vecchie appartenenze, come i trozkisti della Dea e i maoisti del Koe.
Fatto sta che Lafazanis avrà davanti una campagna elettorale con argomentazioni a loro modo più coerenti: il memorandum con l’Europa da stracciare e un piano di uscita dall’euro, «perché il 62 per cento di “no” al referendum non può rimanere politicamente orfano ». Per questo «non saremo un partito ma un fronte sociale contro l’austerità». Un fronte senza i comunisti del Kke, gelosi della propria autonomia; e con il possibile appoggio di quelli più di movimento di Andarsya. Secondo alcuni sondaggi, un soggetto che può valere anche il 5-7 per cento. Chi avrebbe potuto spostare qualche equilibrio in più è Yanis Varoufakis, che però difficilmente si accoderà all’ultrasinistra. L’ex ministro delle Finanze rappresenta la terra di mezzo di Syriza: centinaia e forse migliaia di militanti che delusi dalla scissione decideranno di restarsene a casa.