Coco­ricò, lo sballo ideologico

Coco­ricò, lo sballo ideologico

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Un ragazzo che muore dopo aver preso una pasticca. Una disco­teca sim­bolo del mondo della notte, il Coco­ricò di Ric­cione, che viene chiusa per 4 mesi dal que­store di Rimini. Un mini­stro dell’Interno che annun­cia tol­le­ranza zero «con­tro lo sballo». Cosa voglia dire esat­ta­mente non è dato sapere, ma le dichia­ra­zioni fanno subito tor­nare alla mente la fal­li­men­tare linea dura sulla lotta alla droga. «Pronti a chiu­dere altri locali», ha infatti aggiunto Ange­lino Alfano invo­cando il pugno duro.

A pro­vare ad arti­co­lare un ragio­na­mento sono in pochi, e la loro voce fatica a sovra­stare il dibat­tito tutto con­cen­trato sulla pole­mica legata alla chiu­sura. A voler affron­tare dav­vero il tema sono gli esperti e gli ope­ra­tori che si occu­pano di ridu­zione del danno, coloro che tutti i giorni incon­trano i con­su­ma­tori, e poi c’è Casa Madiba, occu­pa­zione rimi­nese che si auto­de­fi­ni­sce «labo­ra­to­rio anti­raz­zi­sta cit­ta­dino per i nuovi diritti» e che per l’autunno vuole lan­ciare gli stati gene­rali della ridu­zione del danno, per­ché «il proi­bi­zio­ni­smo ha fallito».

Sulla chiu­sura per 120 giorni del Coco­ricò la discus­sione impazza. Su twit­ter si sus­se­guono i mes­saggi di soste­gno al tem­pio del diver­ti­mento della riviera roma­gnola, sotto l’hashtag #iosto­col­co­co­ricò. «Chiu­dere il Coco­ricò ha lo stesso senso che avrebbe avuto la chiu­sura dello Zoo di Ber­lino. Nes­suno», scrive Masta. E via così. Poi ci sono le sor­prese. Come la Lega che pro­ble­ma­tizza e invita a con­si­dera la com­ples­sità della que­stione, o il par­la­men­tare dell’Ncd Piz­zo­lante che vede un «lin­ciag­gio media­tico» con­tro la disco­teca di Ric­cione, defi­nita «sim­bolo negli eccessi» nel prov­ve­di­mento di chiu­sura fir­mato dal que­store di Rimini Improta.

Non solo una disco­teca in realtà, ma un marchio-ombrello sotto al quale si orga­niz­zano serate diverse, in riviera e non solo. Tra i tanti, l’evento orga­niz­zato l’anno scorso alla Festa dell’Unità del Pd di Bolo­gna. «Uno spet­ta­colo per tutta la fami­glia», dice­vano i diri­genti dem locali. Poco più di un anno dopo il Coco­ricò, da pro­getto indu­striale con aspi­ra­zioni inter­na­zio­nali, è stato di colpo tra­sfor­mato in una spe­cie di inferno in terra a base di droga e sesso, dove la «por­no­gra­fia» di cui si parla nel prov­ve­di­mento di chiu­sura non è però nient’altro che un omag­gio, con nudi arti­stici, ad un’ormai sto­rica (era il 1977) per­for­mance di Marina Abramovic.

In mezzo alla baraonda di dichia­ra­zione e prese di posi­zioni, anche la con­trof­fen­siva della disco­teca, che annun­cia il ricorso al Tar e lan­cia l’allarme fal­li­mento cau­sato dallo stop di 120 giorni. «Diamo lavoro a 200 per­sone», ricorda Fabri­zio De Meis, ex gene­ral mana­ger del locale dimes­sosi dopo la morte del gio­vane. «Chiu­dere il Coco­ricò non risolve il pro­blema della logica dello sballo», aggiunge. Le pro­po­ste di De Meis sono due: Daspo per chi com­mette reati in disco­teca, e ad Alfano l’idea piace molto, e tam­pone per veri­fi­care se i clienti «hanno assunto stu­pe­fa­centi e quindi vie­tare l’ingresso a chi è risul­tato positivo».

Una misura, quella del tam­pone, che viene net­ta­mente boc­ciata da tutti coloro che hanno qual­che cogni­zione in tema di danno. Imporre il tam­pone nei locali non ser­virà a ridurre il con­sumo, ragio­nano gli esperti . «Se tengo fuori un ragazzo che ha preso una pasti­glia, secondo voi dove finirà?», si chiede Sal­va­tore Gian­cane, medico tos­si­co­logo del SerT di Bolo­gna, autore di un volume sull’eroina, «è la merce per­fetta, fide­lizza per anni». «Fini­ranno nei rave ille­gali, dove c’è ancora meno tutela per la salute, soprat­tutto in Ita­lia dove la con­sa­pe­vo­lezza dei con­su­ma­tori non è come quella, per fare un esem­pio, che c’è in Olanda».

«La cul­tura del tam­pone a tap­peto mi evoca l’invasione del corpo degli altri – aggiunge Clau­dia Ior­metti, che per la coo­pe­ra­tiva bolo­gnese Open Group si occupa di gio­vani e con­sumi — Chi lavora sulla pre­ven­zione lavora sulla riap­pro­pria­zione del corpo. Qui invece si sta dicendo: “Come tu usi il corpo per farti, così noi use­remo il tuo corpo per bec­carti”. Non è un mes­sag­gio di benessere».

Il ragio­na­mento di chi cono­sce l’ambiente è sem­plice: il con­sumo di sostanze è ovun­que, a scuola, nelle piazze, nei bar, sul lavoro. Pos­si­bile pre­ten­dere l’esistenza di isole drug-free, e per giunta iden­ti­fi­carle nelle disco­te­che? C’è chi ci prova, così come c’è chi prova a demo­niz­zare l’ecstasy. «Pos­siamo farlo certo, ma l’esperienza ha dimo­strato che non fun­ziona», spiega Gian­cane. Piut­to­sto serve infor­ma­zione, pre­ven­zione e, se c’è una scelta di con­sumo, allora deve entrare in gioco la ridu­zione del danno. «Dire alla per­sone di non farsi serve a poco – spiega Marco Bat­tini del coor­di­na­mento regio­nale delle Unità di strada dell’Emilia-Romagna – Biso­gna rag­giun­gere i con­su­ma­tori e creare un rap­porto di fidu­cia per met­tere in con­di­zione le per­sone di sapere quel che fanno, e di farsi meno male».

Chiu­dere il Coco­ricò, così come qual­siasi altro locale, nell’ottica di chi fa ridu­zione del danno, infor­ma­zione e pre­ven­zione, non vuol dire altro che chiu­dere un poten­ziale spa­zio di inter­vento. «Il tam­pone e altre solu­zioni simili ren­de­ranno sot­ter­ra­neo il feno­meno delle sostanze, i con­su­ma­tori diven­te­ranno dif­fi­cil­mente inter­cet­ta­bili, e i danni cre­sce­ranno. Il mes­sag­gio del “no” alla droga – con­clude Bat­tini — ha creato dif­fi­denze e paura, ha allon­ta­nato da noi i con­su­ma­tori, e non ha certo tute­lato la salute di que­ste per­sone, anzi».

Casa Madiba, che a Rimini ha orga­niz­zato sul tema sostanze una par­te­ci­pata assem­blea, lan­cia infine l’idea degli stati gene­rali della ridu­zione del danno e fa pre­sente che Lam­berto, il ragaz­zino morto dopo aver preso una pasticca di ecstasy, «non è stato sal­vato né dalla video­sor­ve­glianza né dai cani antidroga».



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