by redazione | 20 Agosto 2015 11:50
C’è un primo indagato per la morta di Paola Clemente, la bracciante che lo scorso 13 luglio perse la vita nelle campagne del nord barese durante la raccolta dell’uva. La procura di Trani ha iscritto nel registro degli indagati l’autista del bus che ha condotto Paola e altri braccianti nelle campagne di Andria. Nell’indagine al momento si ipotizzano i reati di omicidio colposo ed omissione di soccorso. L’indagato è il tarantino Ciro Grassi, indicato nella querela come colui che ha organizzato la squadra di lavoro. Grassi, secondo le prime indiscrezioni, sarebbe stato anche colui che ha avvisato Stefano Arcuri, marito di Paola, del malore improvviso della moglie. La donna, da un paio di giorni prima del decesso, avvertiva dolori al collo a cui però non aveva dato molta importanza visto che da anni soffriva di cervicale. L’iscrizione di Grassi nel registro gli indagati — hanno però precisato le fonti inquirenti — è un atto dovuto in vista dell’autopsia che sarà effettuata domani, dopo la riesumazione del corpo dell’operaia che, una volta portata nella sala mortuaria del cimitero di Andria, venne seppellita in fretta e furia.
«Il caporalato in agricoltura è un fenomeno da combattere come la mafia e per batterlo occorre la massima mobilitazione di tutti: istituzioni, imprese, associazioni e organizzazioni sindacali. Chi conosce situazioni irregolari deve denunciarle senza esitazione». Così in una nota il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, all’indomani della notizia di un altro bracciante italiano finito in coma al termine di una giornata di lavoro nelle stesse campagne dove lavorava Paola. «In queste settimane — aggiunge Martina — abbiamo lavorato con il ministero del Lavoro per intensificare i controlli». Il ministro ha ricordato che dal 1 settembre prende il via la Rete del lavoro agricolo di qualità: le aziende agricole potranno aderire alla Rete tramite il portare internet Inps. Il certificato di qualità «non sarà un semplice bollino di natura burocratica ma attesterà il percorso delle verifiche puntuali e preventive effettuate individuando e valorizzando le aziende virtuose», ha assicurato il ministro.
Certo è che per combattere ed eliminare un fenomeno così radicato, specialmente al sud, ci vorrà ben altro. In primis, un cambio di mentalità da parte di cittadini e lavoratori. «Sul fenomeno del caporalato c’è un muro di gomma. La gente non collabora, preferisce guadagnare pochi spiccioli anziché aiutare le nostre indagini finalizzate a debellare il fenomeno» ha a questo proposito dichiarato ieri il procuratore della Repubblica di Trani, Carlo Maria Capristo. L’indagine affidata al pm Alessandro Pesce sulla morte di Paola Clemente «andrà a fondo e darà giustizia alla famiglia della vittima». Capristo ha voluto sollecitare però «i sindacati e i lavoratori a dare indicazioni utili alle indagini sul caporalato». Il procuratore ricorda che il fenomeno del caporalato è «diffusissimo nel nord barese».
Difficoltà che incontra in queste ore anche la Flai Cgil Puglia, che sta provando in ogni modo a fare luce sugli ultimi tre decessi avvenuti nell’arco di un mese e sul caso di Arcangelo, il bracciate 42enne finito in coma 10 giorni fa, mentre lavorava nelle stesse terre e svolgeva le stesse operazioni di Paola Clemente. Tuttora ricoverato in coma nel reparto di rianimazione dell’ospedale San Carlo di Potenza, la prognosi sulla guarigione dell’uomo rimane riservata. Ancora poco chiare le cause del malore: tra chi ipotizza sia stato dovuto all’uso di particolari sostanze nella produzione dell’uva e chi sostiene che la causa sia ancora una volta il grande stress psicofisico a cui sono sottoposti i braccianti. La prima ipotesi però, a detta del padre del bracciante, sarebbe stata esclusa dai medici.
A quanto si apprende dalle indagini della Flai Cgil Puglia, il bracciante non era assunto regolarmente: «Stiamo cercando di capire se Arcangelo era assunto oppure no» ha affermato il segretario della Flai-Cgil Puglia, Giuseppe Deleonardis. Su Andria infatti Arcangelo non risulta assunto, mentre potrebbe essere assunto su San Giorgio Ionico, paese della provincia di Taranto dove vive. Gli scenari sono due: «O Arcangelo lavorava a nero, oppure era assunto a San Giorgio Jonico, il che sarebbe comunque illegale perché l’assunzione deve essere fatta sul luogo dove avviene la prestazione di lavoro» ha spiegato Deleonardis. Al momento risalire all’azienda per cui Arcangelo lavorava non è semplice, «perché questi lavoratori sono assunti da agenzie interinali che li spostano dove occorre. Spesso il bracciante si addormenta sul furgone che lo trasporta e non sa neppure dove si trova quando si sveglia sul posto di lavoro». Per questo l’invito ai lavoratori è quello di collaborare e denunciare. «Il ricatto di un reddito a qualunque costo è oggi più forte che mai. Ai lavoratori dico però che oltre alle lotte per una legislazione sul contrasto al nero, per le incentivazioni alle imprese che assumono regolarmente, e agli strumenti penali contro il caporalato, è ora di dire basta e denunciare le condizioni insostenibile per paga e sicurezza in cui si lavora nelle campagne pugliesi. Serve una vera rivolta sociale».
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