Camusso: «Ridurre l’età pensionabile E niente sconti sulle seconde case»
by redazione | 24 Agosto 2015 13:01
Che autunno sarà, segretario? Non mi dica caldo.
«Mi auguro di essere smentita, ma sul piano dell’occupazione l’autunno rischia di portare delle brutte sorprese, penso che il ciclo delle ristrutturazioni non sia finito e che ci siano settori in grossa difficoltà…».
Come pensate di affrontare il tema?
«Da un lato bisogna intervenire con la contrattazione dall’altro bisogna cambiare la legge Fornero. Abbiamo avanzato insieme a Cisl e Uil proposte, a partire dall’età pensionabile, così da creare spazi occupazionali per i giovani».
L’idea di anticipare il pensionamento a Palazzo Chigi c’è.
«I titoli sono giusti, lo svolgimento è sbagliato. Proporre che si vada in pensione prima ma decurtando l’assegno significa non sapere di che redditi si dispone in Italia e quali pensioni si preparano per il futuro».
Il governo per questo ipotizza un reddito minimo per gli over 55 e misure per il contrasto alla povertà.
«Bisogna contrastare la povertà ma non dando qualche soldo e lavandosi la coscienza. Serve un percorso d’inclusione, abbiamo avuto incontri con Poletti sulle proposte sull’alleanza per la povertà ma abbiamo visto un taglio diverso nelle ipotesi di Palazzo Chigi».
Spieghi la vostra proposta.
«Andare in pensione a 67 anni non va bene e per certi lavori, come l’edilizia o i trasporti, è impossibile. Serve un meccanismo di flessibilità che però non penalizzi i trattamenti».
La riforma Fornero ha garantito all’Italia di stabilizzare i conti pubblici. Pensa che in Europa ci verrebbe consentito di rivederla?
«Questo è il problema. Abbiamo già scambiato la flessibilità in Europa con le pensioni e i diritti dei lavoratori, a partire dall’articolo 18. Andiamo avanti?».
Il ribasso dell’età pensionabile se non si autofinanzia diventa un’ulteriore spesa pubblica. Dove trova i soldi?
«E allora faccio una domanda brutale: dobbiamo per forza togliere la tassa sulla casa? E poi, non possiamo ridefinire una progressività fiscale e fare una vera lotta all’evasione incentivando, ad esempio, la moneta elettronica?».
E la Tasi sulla prima casa?
«Togliamola a chi ha solo una casa, ma a chi ne ha più d’una o ha immobili di pregio, no. E poi non capisco questo piano triennale di Renzi, perché a regime dobbiamo rimanere con due sole aliquote Irpef? É iniquo».
No, se ci sono esenzioni e deduzioni.
«La nostra Costituzione postula un sistema progressivo che due aliquote non potranno mai soddisfare».
Sempre sul fisco, come giudica gli effetti della decontribuzione in vigore?
«Il difetto di quella misura è che non è stata collegata all’occupazione aggiuntiva. Se fosse prorogata, e andrebbe fatto, bisognerebbe modificarla in questo modo».
Intanto c’è stata una stabilizzazione.
«Diciamo che c’è una precarizzazione della stabilità. Vedremo tra qualche anno gli effetti dell’aver cancellato l’articolo 18 in nome del nuovo contratto».
Il consulente di Palazzo Chigi, Tommaso Nannicini, propone di stabilizzare la decontribuzione spostando una parte dei contributi del lavoratore in busta paga o in un fondo pensione.
«Il che equivale a mettere le mani nelle tasche dei lavoratori. Capisco che è un’idea a costo zero per lo Stato, ma per alleggerire il costo del lavoro oggi creiamo un grande debito che carichiamo sulle generazioni future, che si ritroveranno senza pensione».
Non se si mettono questi soldi in un fondo pensione.
«Le ricordo che questo è il governo che ha previsto la portabilità dei fondi di previdenza e l’aumento della tassazione su quella complementare».
A proposito d’impresa. C’è l’idea di mettere mano alla contrattazione potenziando quella aziendale. Il governo potrebbe procedere anche con una legge.
«Mi sembra un’idea un po’ ardita che il governo intervenga a piè pari su un tema che è terreno delle parti sociali. Diverso è che dia universalità a quello che hanno già definito le parti sociali, con gli accordi sulla rappresentanza e le regole per l’approvazione dei contratti già siglate con le controparti».
Ma c’è una mediazione tra non avere un contratto nazionale e averne uno derogabile?
«Nell’intesa che abbiamo con Confindustria c’è già la possibilità in situazioni particolari di fare intese che modificano in parte le regole. Tanto basta. A me sembra che di regole ce ne vogliano di più, non di meno».
A cosa si riferisce?
«Il contratto nazionale di lavoro è strumento di regolazione positiva della concorrenza. L’assenza di regole e di controlli e l’ossessione per la riduzione dei salari e dei diritti favorisce il lavoro nero, il caporalato e forme di schiavismo. Il lavoro va pagato».
Dal rinnovo del pubblico impiego. Cosa si aspetta?
«Le cifre che vedo circolare non sono tali da dare risposte ai lavoratori dopo sette anni di blocco. Durante i quali peraltro si sono fatti tagli feroci e non riusciti, come la riforma delle province, senza mai pensare a migliorare la qualità della pubblica amministrazione».
Ma esiste un’interlocuzione con questo governo?
«É un’araba fenice. Ci sono impegni di confronto presi da Poletti sulle pensioni, da Martina, da Madia. Ma vorrei fosse chiaro che questa interlocuzione deve incrociarsi con la manovra dalla quale ci aspettiamo che si punti sugli investimenti per la crescita».
Concorda con Renzi.
«Sì, ma lui scambia investimenti per flessibilità. L’anno scorso l’oggetto dello scambio erano i nostri diritti. Con quali risultati? Uno zero virgola».
Dove vuole arrivare?
«Se c’è un merito della vicenda greca è quello di aver posto in discussione le regole europee a partire da quella del debito che ora è tema del dibattito».
Lei crede ancora in questa Europa?
«L’Europa rischia di essere una grande delusione degli europeisti, come la Cgil, se non esce da questa logica rigorista».
Parla come Salvini.
«Tutt’altro. Salvini vuole uscire dall’euro, noi siamo lontanissimi dai valori e dalle proposte della Lega».
Anche lei pensa che sia il momento di tornare a votare?
«É prerogativa del Parlamento deciderlo. Io faccio altro. Ciò che mi preoccupa è l’alta percentuale di astensione. La politica dovrebbe interrogarsi. O no?».