L’ennesimo rovescio sui mercati è stato innescato dal dato cinese sull’indice Pmi manifatturiero: in agosto la rilevazione è scesa ancora, ai minimi da oltre 6 anni, attestandosi ben sotto quota 50 (47,1 punti) che rappresenta lo spartiacque tra un’economia in crescita e una in contrazione. E’ solo l’ennesima conferma che la locomotiva di Pechino non marcia più a pieni giri e i mercati asiatici hanno prontamente registrato il dato: l’indice di Shangai ha perso il 4,27%, il Nikkei giapponese il 2,98%. Di certo non aiuta il quadro politico greco, con tutte le incertezze che si aprono con le nuove elezioni in Grecia dopo le dimissioni di Tsipras.
Il nervosismo della giornata è stato acuito da un dato macroecomonico non positivo negli Usa (indice Pmi manifatturiero ai minimi dal 2013) e dall’ennesimo record negativo del petrolio con il Wti che durante le contrattazioni è sceso sotto i 40 dollari al barile per la prima volta dal 2009.
L’Europa ha timidamente tentato di resistere all’onda d’urto proveniente dalla Cina e per tutta la mattinata ha contenuto le perdite ma poi, con l’apertura in forte calo di Wall Stret, non c’è stato niente da fare: Milano ha perso il 2,83%, la stessa percentuale lasciata sul tappeto da Londra, mentre Francoforte ha ceduto il 2,95%, Parigi il 3,19%, Atene il 2,49%. A New York il Dow Jones ha chiusi la peggior settimana dal 2011 perdendo un altro 3,11, mentre il Nasdaq si è contratto del 3,52%.
«E’ una correzione di mercati europei che erano saliti molto negli ultimi tempi – prova a sdrammatizzare Gregorio De Felice, capoeconomista di Intesa – occorre rendersi conto che la Cina sta cambiando modello di crescita, spingendo su consumi interni e investimenti, e questo non avverrà in pochi giorni. Ma è un rallentamento strutturale, non una recessione mondiale».
Su Pechino – e sulla sua politica valutaria – comunque continuano ad essere puntati gli occhi degli Usa. Ieri Jack Lew, segretario americano al Tesoro, ha avuto un colloquio con il vicepremier cinese Wang Yang, in cui gli Usa hanno fatto capire che continueranno a monitorare il cambio dello yuan, dopo la svaltuazione a sorpresa della settimana scorsa.
Per Piazza Affari, che ha perso oltre il 5% in due giorni, è stata una giornata nera per i titoli bancari (con perdite superiori al 4,5%) e la spiegazione è semplice: i Btp hanno perso terreno (il rendimento è salito all’1,855% per il decennale) e lo spread, il differenziale con i titoli analoghi tedeschi, si è allargato (a 129,3 punti, cioè 5,6 in più del giorno prima). Le nostre banche sono considerate sempre molto sensibili all’andamento dei titoli di Stato (di cui hanno pieni i portafogli) e per questo sono state vendute a piene mani. L’euro invece si è rafforzato (ai massimi da sette settimane) nei confronti del dollaro: la moneta unica valeva 1,1351 dollari (1,1241 il giorno prima).