Bin Laden. La maledizione della dinastia yemenita amica dei «principi» del petrolio
by redazione | 2 Agosto 2015 9:16
Mohammed Bin Laden, il capostipite, era convinto di avere il «favore di Dio». Lo rammentava alla sua famiglia, un clan di 22 mogli e 54 figli, tra cui il diciassettesimo: Osama. Poi uno stuolo di nipoti. E Allah per un po’ lo ha protetto, assistendo la sua anima impegnata in cose molto terrene. Lui, Mohammed, è diventato milionario con tanto lavoro, furbizia e amicizie giuste.
Un cammino iniziato nella regione yemenita dell’Hadhramaut e conclusosi in un angolo del regno saudita. Le origini umili, se sulle prime lo hanno costretto a sgobbare, sono state poi la molla che gli ha permesso di diventare un nababbo, soddisfacendo qualsiasi desiderio dei suoi migliori clienti, i principi sauditi. Dall’installazione di giganteschi impianti per l’aria condizionata agli enormi parchi di vetture, dalla restaurazione dei luoghi santi dell’Islam ai porti. Grandi commesse e molti capricci. Progetti spesso portati a termine da ingegneri italiani, i più stimati dall’astuto Mohammed. Ed avrebbe continuato ancora se non fosse stato tradito dal destino e dalla passione per gli aerei. Ne aveva uno, modificato, con il quale correva da un lato all’altro della regione. Ai comandi spesso sedevano americani o britannici. Ma a volte era Mohammed a divertirsi, spaventando i suoi passeggeri con improvvise acrobazie. Un hobby finito in modo tragico il 13 settembre 1967, quando il velivolo si schiantò in fase d’atterraggio a Oom, regione di Asir. Il capo famiglia morì sul colpo. Diranno poi che a causare l’incidente sarebbe stato l’errore del pilota.
Quella è la prima sciagura di tante. Perché la maledizione del cielo non si ferma. Fa una brutta fine anche il figlio Salem, imprenditore, cantante per passatempo e grande appassionato di volo e dell’America. Perde la vita nel 1988, poco fuori San Antonio, in Texas. Si schianta mentre sta pilotando un piccolo ultraleggero. È fatale l’urto con i cavi di un pilone dell’energia elettrica.
Quindi il terzo disastro: quello in Gran Bretagna, con la matrigna di Osama, Rajaa, la sorellastra Sana e suo marito Zuhair, inceneriti nell’impatto al suolo a bordo del loro executive partito da Milano-Malpensa. E poiché sono dei Bin Laden è naturale che la storia abbia dei seguiti, degli interrogativi, delle supposizioni. Non basta la prima versione che ipotizza un altro errore di un pilota, questa volta giordano, arrivato «lungo» sulla pista.
Ci sarà un periodo di lutto ma il gruppo — familiare ed economico — andrà avanti, tra successi e problemi. Con grandi entrature nel Golfo e solidi rapporti con la realtà economica occidentale.
L’amicizia d’interesse con i Bush era solo uno dei tanti anelli di una catena d’oro. La società prospera: ha oltre 50 mila dipendenti e un capitale miliardario. Costruisce complessi, palazzi e grattacieli, come quello progettato per Casablanca, con 114 piani. A dirigere c’è Bakr, laurea in Florida, grandi capacità manageriali. Anche se di recente avrebbe deciso di passare mezzo testimone a Saleh.
Sono sparpagliati per il mondo i parenti di Osama, mai considerato al livello degli altri perché parte del ramo siriano. E formalmente lo hanno anche ripudiato. Una rottura che però non ha impedito ad almeno due sorelle di aiutarlo nonostante la strage dell’11 settembre.
Omar, dopo aver seguito il padre in Sudan e in Afghanistan, vive in Qatar. Abdullah è rimasto in Arabia Saudita ed è stato lui a chiedere invano agli americani il certificato di morte del genitore dopo il raid di Abbottabad. Il rifugio pachistano è diventato anche la tomba di Khaled, altro figlio del qaedista. Di Hamza, l’erede, restano gli scambi epistolari con Osama, lettere piene di rimpianti e sofferenza perché non si vedevano da «otto anni». Bin Laden lo coltivava come futuro leader al posto di Saad, eliminato da un drone americano nel 2009.
La figlia Khadijh, anche lei da qualche parte in Medio Oriente, si lamentava invece della difficoltà nelle comunicazioni: «Ho ricevuto un tuo messaggio circa 9 mesi fa ed ho gradito i tuoi consigli preziosi». E il fondatore di Al Qaeda rispondeva preoccupandosi, come un genitore qualsiasi, che la moglie trovasse un buon partito per la prole. Ovviamente, nella realtà jihadista, spartana e dura, e non in quella comoda e lussuosa tanto cara agli altri membri della «tribù». A cominciare da Yeslam, uomo d’affari più a suo agio a Ginevra, dove risiede, che in certe capitali arabe.
Certamente i Bin Laden continueranno a prosperare, seguiranno la strada indicata da Mohammed, potranno scegliere di vivere sotto i riflettori o defilati, ma saranno sempre accompagnati da un nome. Osama. Neppure tre colpi di fucile sparati dai Navy Seals il 2 maggio 2011 sono riusciti a cancellarlo.