GERUSALEMME . Un autobomba nella notte al Cairo con decine di feriti, quattro militanti di Hamas rapiti nel Sinai, poi le inevitabili rivendicazioni e in serata quattro razzi lanciati dalla Siria su Israele. In difficoltà in alcuni campi di battaglia della Siria e dell’Iraq, con i militanti braccati dalle milizie curde e dai raid aerei (americani e non solo), lo Stato Islamico rilancia con la strategia del terrore nelle metropoli arabe e in quelle terre di nessuno dove le sue bande riescono ad agire impunemente.
L’esplosione, avvenuta nel nord della capitale egiziana, è stata talmente forte che è risuonata in molti quartieri del Cairo. Obiettivo dell’autobomba la sede della Sicurezza Nazionale, nei pressi della quale un uomo ha parcheggiato l’auto imbottita di esplosivo prima di darsi alla fuga in motocicletta con un complice. La facciata dell’edificio è parzialmente crollata e lungo la strada si è aperto un grande cratere. La maggior parte dei feriti (tra cui otto poliziotti) è stata dimessa dopo poche ore, negli ospedali restano solo quelli più gravi.
L’Egitto viene di nuovo colpito ( è la terza volta in questa estate) perché è sulle sponde del Nilo che il Califfo — o i gruppi che ruotano attorno agli uomini di Al Baghdadi — vuole aprire l’ennesima partita che si gioca in un Medio Oriente dilaniato da guerre civili, terrorismo e crimini di ogni genere. Compiuti in nome di un Allah che divide (sunniti e sciiti in primis) in modo trasversale e sempre più complicato il mondo musulmano. E non è un caso che l’attentato sia avvenuto a pochi giorni dal varo delle nuove severe leggi anti-terrorismo volute dal presidente Al Sisi e definite da diversi osservatori (occidentali ma non solo) “liberticide”.
La prima rivendicazione non è arrivata dal califfato ma dai “Black Bloc” (un gruppo islamico apparso sulla scena due anni fa in contrapposizione ai Fratelli Musulmani), ma poco dopo lo Stato Islamico si è appropriato dell’azione terroristica. «Grazie ad Allah i soldati del Califfato sono riusciti a raggiungere la sede della sicurezza nazionale nel cuore del Cairo con un’autobomba parcheggiata nei pressi dell’edificio. Questa operazione è la vendetta per i nostri fratelli e tutti i martiri musulmani. Tutti coloro le cui mani si sono macchiate del sangue dei mujahiddin dovranno attendere il loro turno e aspettarsi il peggio».
Vera o verosimile che sia, la rivendicazione dell’Is è l’ennesima conferma che gli “uomini neri” del Califfo dopo la conquista dei territori in Iraq e Siria e dopo la più recente avanzata in Libia, si sono posti come obiettivo la periferia dell’Egitto.
Nel comunicato c’è un riferimento a un gruppo di sei uomini impiccati lo scorso maggio dopo uno sbrigativo processo in un tribunale militare, accusati di far parte della cellula di terroristi dello Stato Islamico che agisce nel Sinai (territorio dell’Egitto). I quali proprio ieri (forse non a caso) hanno rapito quattro militanti di un gruppo paramilitare di Hamas, l’organizzazione armata palestinese che regna nella Striscia di Gaza. E sempre ieri, dalla Siria (in una zona controllata dai lealisti di Assad e dai filo-iraniani, secondo un portavoce militare israeliano) quattro razzi sono stati lanciati contro Israele, due caduti sulle alture del Golan, due in Alta Galilea. Immediata la reazione di Gerusalemme che ha bombardato oltre confine con l’artiglieria.