BRUXELLES. «L’Italia non deve più sentirsi sola. C’è da parte della commissione tutta la stima e l’ammirazione per il modo con cui il vostro Paese sta fronteggiando la crisi dei migranti. Siamo consapevoli che il problema va risolto a livello europeo e intensificheremo gli sforzi comuni ». Dimitris Avramopoulos, commissario europeo alle Migrazioni, si impegna personalmente perché l’impegno dell’Ue faccia un salto di qualità. «Intendiamo collaborare – ci dice nel suo ufficio nel palazzo Berlaymont soprattutto per rendere efficiente ciò che viene “dopo” il salvataggio: il processo di registrazione, catalogazione, valutazione delle singole posizioni, compresa l’eventuale espulsione di chi non ha diritto all’accoglienza. Tutto questo anche con la creazione di “hotspot”, unità operative con un nostro staff collocate nelle aree più difficili per aiutare le autorità italiane. Inoltre, per coadiuvare lo sforzo della marina italiana ho rivolto un accorato appello a tutti gli altri Paesi perché collaborino con più unità alle operazioni Triton e Poseidon di Frontex, che non ha mezzi navali propri ma il cui budget è stato recentemente triplicato fino a 90 milioni. L’iniziativa della redistribuzione per quote è nata per venire incontro alle richieste italiane, oltre che della Grecia, l’altro Paese più esposto. Coloro che arrivano sulle nostre coste non sono nemici ma esseri umani che fuggono da guerre e intollerabili povertà: ogni singola morte nel Mediterraneo turba le nostre coscienze».
Però nel vertice di fine luglio non è stato trovato neanche l’accordo su 40mila immigrati da redistribuire.
«Sono il primo ad essere indignato per quest’atteggiamento. Ci si è fermati a 32mila, e io mi impegnerò strenuamente perché si completi la prima assegnazione concordata che già è insufficiente. Spero che la situazione venga risolta entro fine anno, io vorrei molto prima. Incoraggiamo l’Italia, come la Grecia, a notificare tempestivamente ai nostri uffici il numero dei migranti da ricollocare. L’Europa è stata costruita sui principi della tolleranza e del rispetto. La xenofobia, come i nazionalismi e i populismi, non deve trovare spazio in questo continente. Purtroppo non è semplice passare dalle parole ai fatti, ma deve essere il nostro obiettivo».
Ma perché l’Europa si è mossa con tanto ritardo?
«Io posso dirle che dal primo giorno in cui si è insediata questa commissione, a fine 2014, quella dei migranti è la priorità numero uno. In questi mesi abbiamo approvato un impegno finanziario senza precedenti, 7 miliardi da qui al 2020, ai quali abbiamo aggiunto nei giorni scorsi 76,5 milioni di emergenza. I primi beneficiari saranno Italia e Grecia, alle quali andranno rispettivamente 558 e 474 milioni, e appena meno alla Spagna. La prima tranche per la Grecia di 30 milioni partirà quando sarà consolidata l’autorità nazionale, per l’Italia dove quest’autorità c’è già e funziona, i fondi partiranno entro pochi giorni. Quanto alle regole di Dublino sull’asilo, posso garantire che saranno riviste entro il 2016, ma l’accoglienza l’Ue ha già oggi i migliori standard del mondo».
Come affrontate atteggiamenti come quello dell’Ungheria che sta edificando il suo “muro”, ma anche della Gran Bretagna o perfino della Francia rispetto alla crisi di Calais?
«L’Unione europea è nata per abbattere, non costruire muri. Finché noi staremo qui, continueremo a perseguire questo che è uno dei principi costituenti dell’Europa. Le iniziative in corso vanno considerate isolate e locali. Sono stato a Budapest e ho concordato un atteggiamento ragionevole con il governo. Vogliamo che i nostri principi vengano salvaguardati: abbiamo offerto all’Ungheria 85 milioni per fronteggiare la crisi, più altri fondi d’emergenza già erogati. Non è semplice: da quando hanno scoperto le vie dei contrabbandieri, un fiume di immigrati sta riversandosi dalle montagne della Serbia: 35mila arrivi nel solo luglio. Va detto che i criteri di difesa dei confini sono decisi dai singoli Paesi, ma resta valido il nostro principio contrario alle barriere anti-immigrazione e fermo sul non-respingimento».
«Qui la situazione è diversa. Le strutture per mettere in sicurezza il porto servono per proteggere le infrastrutture portuali e per prevenire la perdita di vite visto che è facilissimo, purtroppo è successo, che i migranti restino fulminati dalle condutture elettriche o investiti dai treni».
Si dice sempre che il problema va risolto nei Paesi d’origine. L’Europa come si muove?
«Siamo pronti a un massiccio investimento in tal senso. L’assistenza europea ha raggiunto i livelli record di 58,2 miliardi nel 2014, e i Paesi membri hanno confermato l’impegno di destinare alla cooperazione per lo sviluppo lo 0,7% del Pil. In novembre a La Valletta terremo un incontro con i Paesi interessati. Mi rendo conto che alcuni di questi sono ridotti a non-Stati, però speriamo in un’adesione il più estesa possibile. Andrò fra poco in Niger dove è in corso la prima iniziativa- pilota di aiuto in loco, un modello che contiamo di allargare ».