L’EUROPA non ha capito la lezione. O non l’ha voluta capire. Ancora un muro, ancora frontiere chiuse. Ventisei anni dopo la caduta di quello di Berlino e la gioia di un mondo finalmente unito, senza barriere, divisioni, odi e rancori. Invece, no. Continuiamo a sbagliare, non abbiamo imparato nulla.
La realtà ci sovrasta, ci travolge. Siamo in presenza di una svolta epocale: alla vigilia della più imponente mobilitazione umana degli ultimi secoli. Quello a cui assistiamo è solo l’inizio di un processo molto più lungo. Ma è tardi, troppo tardi. Come Occidente abbiamo perso un’occasione storica. Avremmo potuto davvero aiutare l’Africa a uscire dalla sua miseria e povertà. Sarebbe stato qualcosa di miracoloso. Invece ci siamo limitati a compiere il nostro dovere umanitario. Perché non ci resta altro: accogliere questa massa enorme di profughi e migranti, spesso senza avere gli strumenti per farlo con dignità. Abbiamo evitato di intervenire dove dovevamo farlo per condizionamenti ideologici, per inerzia, ignoranza, pregiudizi. Avevamo paura di essere tacciati di neocolonialismo, quando invece siamo stati neoimperialisti.
E così l’Occidente resta chiuso nella sua diffidenza, prigioniero delle sue paure, terrorizzato da questa “invasione” che rifiuta e contrasta.
La nostra è dunque una risposta disperata. Che evoca un simbolismo terribile. Poco tempo fa abbiamo festeggiato la caduta del muro di Berlino, il crollo della divisione di due popoli e di un regime soffocante, despota, moribondo. Abbiamo immaginato un mondo finalmente unito, diverso, forte, integrato, multirazziale. Adesso torniamo indietro. Con i muri tra Messico e Usa, in Serbia, nel Kosovo, in Ungheria, domani magari in Macedonia. Per non parlare di Israele. Torniamo al mondo che non volevamo. Dove ognuno cerca di proteggersi perché vede nell’altro un pericolo alla propria esistenza. Abbiamo paura di noi stessi. Esiste un problema democratico. Ideologico. Non siamo riusciti nemmeno ad essere solidali con la Grecia. Abbiamo imposto regole che sappiamo essere perdenti. Ma lo abbiamo fatto. Per interessi diversi, preoccupati ognuno delle proprie elezioni, delle conseguenze che un cambiamento in uno dei paesi europei avrebbe potuto esercitare sugli altri. Atene è stata spaccata dal rigore della troika. È stata trascinata alle elezioni. È il vero trionfo dei nazionalismi, dei populismi che ci fanno tanto ribrezzo. Ma siamo incapaci di reagire, bloccati dalla paura del pericolo imminente.
Non ho soluzioni, lo ammetto. Le ho cercate e non le ho trovate. Ora è tutto più difficile, complicato. Credo che sia tardi. Ma so anche che se non reagiamo, con intelligenza, se l’Europa non affronta con una politica finalmente comune questo grande esodo internazionale, sarà presto la fine di un’epoca di speranza e di lunga pace. L’Islam è la seconda religione in Germania. In Francia ci sono sei milioni di musulmani. Come possiamo illuderci di frenare questa integrazione?
L’Italia, nella sua storia millenaria, ha già sperimentato le invasioni. Ci sono stati i barbari, i saccheggi, le razzie. Sono nate altre civiltà, altri popoli, altre energie e intelligenze. Deve imparare dal suo passato. È stato un popolo di immigrati. Ha affrontato il mondo. Ha costruito interi paesi, ha sviluppato le loro economie.
Noi, in Europa, pensavamo di essere i migliori. Di poter esportare i modelli sociali e politici. La democrazia. Saddam Hussein era un tiranno, non c’è alcun dubbio. Ma chi ha invaso l’Iraq è stato un criminale e non ha risolto il problema, anzi. Nessuno ha mai pensato di trascinare gli autori di quella scelta scellerata davanti al Tribunale penale internazionale. Migliaia di morti, anche americani, per un disastro. Di cui vediamo ora le conseguenze. Smarriti, impauriti. Dovremo attendere forse 20 anni. Ma temo sarà sempre troppo tardi.